giovedì 24 aprile 2025

La maestra su OnlyFans ?

 

La maestra su OnlyFans? No, il vero scandalo è lo stipendio da fame (ma a nessuno importa)


In Italia succede spesso che ci si indigni con fervore, purché l’indignazione non scalfisca l’ordine delle cose. Prendiamo il caso di Elena Maraga, la maestra d’asilo veneta licenziata per “giusta causa” perché... orrore! aveva un profilo su OnlyFans. Apriti cielo. I benpensanti sono subito scesi in campo, armati di rosari e moralismo prêt-à-porter, per difendere i pargoli dalle influenze malefiche della pornografia a chilometro zero.

Ma nessuno—andiamo, proprio nessuno—ha sentito il bisogno di farsi una domanda banalissima: come mai una maestra, laureata, formata, con responsabilità educative cruciali, è costretta a spogliarsi su internet per mettere insieme uno stipendio decente?

Ah no, quella riflessione fa troppo rumore. Meglio il vociare indignato, meglio la condanna pubblica su TikTok e il comunicato della scuola cattolica sulla "coerenza con i valori educativi". Che poi, a essere coerente con il valore dell’educazione, forse bisognerebbe iniziare con il pagarla.

Perché vedete, in Italia la povertà va bene, purché sia silenziosa e umile. Va bene che un’insegnante guadagni 1.200 euro al mese, che si sobbarchi classi impossibili, genitori isterici, dirigenti pressanti e burocrazia kafkiana. Va bene che non riesca a pagare l’affitto o a fare una spesa decente. Quello che non va bene è che questa persona osa usare il suo corpo, la sua immagine e la sua libertà per cercare di uscire da una condizione economica umiliante.

E allora giù il linciaggio. Perché qui non ci scandalizza il fatto che un maestro guadagni meno di chi imbusta volantini, ci scandalizza che cerchi di rimediare vendendo qualcosa che non sia la sua dignità professionale in saldo.

Eppure, non sarebbe il caso di domandarci perché in Italia chi insegna è trattato peggio di un rider? Non sarebbe il momento di dire che se uno stipendio da insegnante costringe una persona a cercare introiti su OnlyFans, il problema non è OnlyFans, è lo stipendio?

Ah no, troppo complicato. Troppo sovversivo. Meglio continuare a parlare di “scandalo morale” finché le scuole cadono a pezzi, gli insegnanti emigrano, e la classe dirigente si forma su YouTube.

Nel frattempo, la prossima volta che vi indignate per una maestra su OnlyFans, provate a indignarvi anche per il fatto che in Italia l’insegnamento vale meno di un abbonamento mensile alla sua pagina.

Ma tranquilli: la coscienza collettiva è salva. Elena Maraga è stata licenziata. L’onore dell’educazione italiana è salvo. Lo stipendio no, ma quello non fa notizia.

LUCA COSTA

articoli di Luca Costa




lunedì 21 aprile 2025

Vai con Dio, Bergoglio...

 

Addio a Papa Francesco: un pontificato tra ambiguità, semplificazioni e incoerenze

La morte di Papa Francesco segna la fine di un pontificato che, più di ogni altro negli ultimi decenni, ha spaccato il mondo cattolico. E non per lo zelo riformatore o per l’audacia evangelica, ma per una persistente ambiguità che ha finito per minare la coerenza del messaggio cristiano. Jorge Mario Bergoglio, il Papa “venuto dalla fine del mondo”, ha portato con sé una visione pastorale intrisa di semplificazioni, infarcita di luoghi comuni dal retrogusto politicamente corretto, che spesso hanno oscurato la profondità dottrinale della Chiesa.

Il suo ecologismo militante ha toccato l’apice con l’enciclica Laudato Si’, un testo che sembrava scritto più per Greenpeace che per il Popolo di Dio. Tra inviti all’uso dei trasporti pubblici, riflessioni sull’inquinamento urbano, sulle pale eoliche e sui pannelli solari, si è perso completamente il senso escatologico del creato, ridotto a un giardino da custodire anziché un dono da riportare a Dio. Una deriva confermata dalla successiva Laudate Deum, in cui il Papa si è spinto ancora oltre, abbracciando senza filtri la retorica delle agende globaliste sul cambiamento climatico, con richiami a summit internazionali e appelli ossessivi al “grido della Terra”, mentre il grido dei cristiani perseguitati nel mondo restava inascoltato.

Emblematica, e al tempo stesso grottesca, l’immagine del 2015 quando sulla facciata di San Pietro vennero proiettate immagini di animali, mari inquinati e ghiacciai che si sciolgono, in uno spettacolo che sembrava più un’installazione da Biennale di Venezia che un gesto liturgico. Un’operazione di dubbio gusto, che ha trasformato la casa di Dio in uno schermo pubblicitario per la religione ecologista.

Nel frattempo, temi cruciali come l’aborto, l’identità sessuale, la famiglia e l’eucaristia sono stati affrontati con toni vaghi, sfuggenti, improntati a un lassismo pastorale che ha lasciato campo libero alle peggiori interpretazioni. Amoris Laetitia ha aperto una stagione di confusione dottrinale senza precedenti, in cui il discernimento individuale è diventato il nuovo dogma e l’eccezione ha finito per divorare la regola.

Le catechesi del mercoledì, infarcite di aneddoti banali e affermazioni ad effetto, hanno lasciato a bocca asciutta chi cercava una guida spirituale salda. L’attacco sistematico alla messa in latino, culminato nel Traditionis Custodes, ha rappresentato un atto di autolesionismo ecclesiale: colpire con durezza proprio quei fedeli più devoti, spesso giovani, spesso convertiti, che nel rito antico avevano trovato una via per ritornare alla fede in un contesto post-liturgico devastato dagli anni Settanta.

E in tutto questo, la figura di Victor Manuel “Tuco” Fernández rimane come il simbolo della vera catastrofe intellettuale e spirituale di questo pontificato. Posto alla guida del Dicastero per la Dottrina della Fede — un dicastero che dovrebbe essere il garante dell’ortodossia — questo teologo da telenovela si è distinto solo per la sua disarmante inconsistenza. Autore di testi ai limiti del ridicolo, come il famigerato Guariscimi con la tua bocca, una raccolta di riflessioni amorose travestite da teologia, è stato il complice perfetto di un pontificato che ha messo il sentimento sopra la verità. Con Fiducia Supplicans, ha firmato uno dei documenti più controversi e sconcertanti dell’intero magistero recente, benedizioni ai limiti del sacrilego per “coppie irregolari” con la scusa della pastorale, sancendo il trionfo della confusione.

La sua nomina non è stata solo un errore: è stata una dichiarazione di guerra all’intelligenza teologica della Chiesa. Un attentato alla Tradizione, un affronto al sensus fidei del popolo cattolico. Se il pontificato di Francesco verrà ricordato per la sua deriva orizzontale, Fernández ne sarà l’epitaffio intellettuale. Una sciagura vivente, il cui lascito sarà ricordato — ci si augura — come un monito e non come un modello.

Ma proprio questo stadio di deliquescenza ecclesiale deve suonare come un risveglio per i laici cattolici. È finito il tempo dell’attesa passiva, del cristiano che spera in un papa perfetto e una Chiesa perfetta che gli porti la colazione a letto. Non c’è più spazio per il disimpegno mascherato da ironia, né per il rifugio sterile nel bricolage spirituale o nel fantacalcio ideologico. Oggi più che mai, dobbiamo sperare in Cristo e accompagnare la Chiesa — anche ferita, anche claudicante — con un’azione decisa, virile, adulta.

I laici cattolici devono riprendersi il proprio posto nella battaglia culturale, spirituale e politica del nostro tempo. Con la preghiera, certo. Ma anche con l’educazione, con la formazione di élite nuove, con il lavoro concreto nei territori, nei media, nelle università, nei parlamenti. È ora di uscire dalla nicchia e tornare a essere lievito nella massa. Perché se la Chiesa è in crisi, è anche perché troppi suoi figli hanno preferito addormentarsi sulle ginocchia del mondo, anziché combattere sotto lo stendardo della Croce.

LUCA COSTA

articoli di Luca Costa





sabato 19 aprile 2025

Radici cristiane no - Integralismo islamico sì

 L’Unione Europea: Finanziatore Inconsapevole dell’Islamismo Radicale?

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Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha erogato milioni di euro a organizzazioni che, secondo alcune fonti, promuovono l'islamismo radicale. Tra queste:

ENAR (European Network Against Racism): Ha ricevuto oltre 12 milioni di euro, nonostante alcuni suoi membri siano associati ai Fratelli Musulmani.

Islamic Relief Worldwide e Islamic Relief Germany: Hanno beneficiato di circa 7,3 milioni di euro, nonostante le accuse di legami con gruppi estremisti.

FEMYSO (Forum of European Muslim Youth and Student Organisations): Ha ricevuto più di 130.000 euro, pur avendo membri legati a organizzazioni controverse.

Università nella Striscia di Gaza: Hanno ottenuto circa 2,8 milioni di euro, inclusa l'Università Islamica di Gaza, associata a figure di spicco di Hamas.

Università di Gaziantep in Turchia: Ha ricevuto oltre 340.000 euro, nonostante abbia reso omaggio a leader di Hamas.

Questi finanziamenti sollevano interrogativi sulla coerenza dell’UE nel sostenere i propri valori fondamentali.



L’Unione Europea e il paradosso delle tasche bucate

Mentre milioni di cittadini europei faticano a far quadrare i conti tra inflazione, bollette e mutui alle stelle, la Commissione Europea spalanca il portafoglio – che ovviamente non è suo, ma nostro – per elargire milioni di euro a organizzazioni in odor di islamismo politico o radicale. Con un'ingenuità che sfiora il surreale, i burocrati di Bruxelles sembrano ignorare ogni campanello d’allarme. O forse lo sentono, ma hanno le cuffie del politicamente corretto incollate alle orecchie.

E così, ENAR riceve 12 milioni di euro. Ma certo, chi non vorrebbe combattere il razzismo, no? Peccato che tra le sue fila ci siano simpatizzanti di ideologie che, se potessero, cancellerebbero i diritti fondamentali di donne, omosessuali e dissidenti con la stessa disinvoltura con cui si fa un tweet.

Islamic Relief prende circa 7,3 milioni di euro. Nonostante le accuse (anche da parte di paesi musulmani moderati) di avere contatti pericolosi con ambienti estremisti, resta una delle ONG preferite nei salotti europei.

FEMYSO incassa oltre 130.000 euro. Per cosa? Per “combattere la discriminazione” – ma, a giudicare dalle critiche ricevute, a senso unico.



Università col turbante e col portafoglio pieno

Il dramma diventa farsa quando si scopre che università di Gaza – incluso l’ateneo noto per aver dato una cattedra ad alcuni esponenti di Hamas – ricevono milioni di euro per “programmi educativi”. Evidentemente l’UE ha deciso che anche i fondamentalisti hanno diritto a una buona istruzione... finanziata da noi.

La Università di Gaziantep, in Turchia, rende omaggio al leader di Hamas? Nessun problema: arriva comunque un bel bonifico europeo da 340.000 euro.



Riflessioni amare su una classe dirigente disconnessa dalla realtà

Tutto questo non è solo uno scandalo finanziario. È un insulto alla lucidità politica. È la dimostrazione che l’establishment europeo vive in una bolla, dove l’apparenza di inclusività conta più della sostanza, dove la lotta al razzismo giustifica tutto, anche il flirt con ideologie totalitarie.

Questa “ingenuità” non è neutra: è pericolosa. Perché finanziare queste realtà significa minare i principi stessi della democrazia europea. Significa dare voce (e soldi) a chi sogna una società incompatibile con la libertà individuale, la laicità, l’uguaglianza di genere, e persino con la libertà di parola che permette a un giornale di denunciare queste derive.



L’Europa del futuro o la caricatura di se stessa?

Il contribuente europeo – quello vero, che paga le tasse, che rispetta le leggi e che crede nei valori democratici – merita una risposta. Perché non è solo una questione di soldi, ma di identità, di visione del futuro, di coraggio nel difendere i nostri ideali senza cadere nella trappola dell’auto-colpevolizzazione permanente.

Il vero scandalo, in fondo, non è che queste organizzazioni esistano. È che le stiamo finanziando noi, con un entusiasmo degno di un sonnambulo che cammina verso il burrone.

E mentre Bruxelles predica vigilanza, inclusione e sicurezza… continua a scrivere assegni a occhi chiusi.

LUCA COSTA

articoli di Luca Costa




giovedì 17 aprile 2025

Globalizzazione: GAME OVER ?

Donald Trump e il Tramonto della Globalizzazione: Dall'Ingresso della Cina nel WTO all'Acquisizione di Bialetti

Nel 2001, l'amministrazione Clinton celebrava l'ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO) come un trionfo del libero scambio e della cooperazione globale. Questa decisione, tuttavia, ha segnato l'inizio di una trasformazione radicale dell'economia mondiale, con effetti devastanti per l'industria europea. L'apertura dei mercati occidentali ai prodotti cinesi ha portato a una concorrenza spietata, causando la perdita di milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero e la chiusura di numerose aziende storiche .

L'acquisizione di Bialetti da parte della società cinese NUO Capital nel 2025 rappresenta l'epilogo simbolico di questo processo. Fondata nel 1933, Bialetti è un'icona del design e della cultura italiana, conosciuta in tutto il mondo per la sua celebre moka. Negli ultimi anni, però, l'azienda ha affrontato difficoltà finanziarie, culminate in una perdita di 1,1 milioni di euro nel 2024 e un debito netto di 81,9 milioni di euro . L'acquisizione da parte di NUO Capital, guidata dal magnate di Hong Kong Stephen Cheng, segna la fine di un'era per l'industria italiana.


L’illusione americana: da dominatori a ostaggi del proprio modello

Quando Bill Clinton spinse per lingresso della Cina nel WTO, lo fece nel nome di unideologia economica che credeva nella fusione dei mercati come veicolo di pace e prosperità. L’idea era chiara: la Cina avrebbe prodotto a basso costo, gli Stati Uniti avrebbero fornito capitali, tecnologia e un mercato di consumo insaziabile. Il risultato, almeno nei primi anni, sembrò una vittoria per Washington: le multinazionali americane si arricchirono, Wall Street brillava, e la Silicon Valley si affermava come capitale planetaria dellinnovazione. Ma dietro leuforia si celava una deriva strutturale pericolosa: la deindustrializzazione progressiva degli Stati Uniti.

L’industria manifatturiera americana, un tempo motore della mobilità sociale e bastione della middle class, venne svenduta sullaltare dellefficienza e del profitto a breve termine. Le fabbriche chiudevano, le città si svuotavano, e con esse si sgretolava il tessuto stesso dellAmerica produttiva. La cosiddetta working class” – quella che costruiva, combatteva, pagava le tasse e sosteneva le famiglie veniva sostituita da una popolazione precaria e marginalizzata. Nello stesso tempo, la "fighting class", quella che aveva difeso gli interessi americani nelle guerre del secolo scorso, veniva privata del suo centro economico e simbolico: il lavoro dignitoso.

Quello che era stato pensato come un matrimonio dinteressi tra l’élite tecnologica americana e la capacità produttiva cinese, si è rivelato una trappola geopolitica. Gli Stati Uniti sono diventati unarena dominata dalla finanza speculativa e dallingegneria del software, incapaci di produrre beni concreti in caso di emergenza. La pandemia di COVID-19 e la crisi dei semiconduttori lo hanno dimostrato brutalmente: una superpotenza priva di catene di approvvigionamento autonome è una superpotenza vulnerabile.



Trump : verso un nuovo modello ?

Donald Trump, già durante la sua prima presidenza, aveva denunciato gli effetti negativi della globalizzazione sull'economia americana, attribuendo la perdita di posti di lavoro e il declino dell'industria manifatturiera agli accordi commerciali internazionali e all'ingresso della Cina nel WTO . Nel suo secondo mandato, Trump ha intensificato questa retorica, imponendo tariffe elevate sulle importazioni cinesi e minacciando di ritirarsi da ulteriori accordi multilaterali .

Le politiche protezionistiche di Trump hanno già avuto un impatto significativo sul commercio globale. Secondo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), le guerre commerciali avviate dagli Stati Uniti hanno rallentato la crescita economica mondiale e alimentato l'inflazione . La World Trade Organization ha previsto un calo dello 0,2% nel commercio globale di beni per il 2025, attribuito in gran parte alle politiche tariffarie statunitensi .

In questo contesto, l'Unione Europea si trova in una posizione precaria, stretta tra le politiche aggressive degli Stati Uniti e l'espansione economica della Cina. La mancanza di una strategia industriale comune e la dipendenza da attori esterni hanno indebolito la sovranità economica europea, rendendo il continente vulnerabile a influenze straniere.

L'acquisizione di Bialetti da parte di NUO Capital non è un caso isolato, ma parte di una tendenza più ampia che vede aziende europee storiche passare sotto il controllo di investitori stranieri. Questo fenomeno solleva interrogativi sulla capacità dell'Europa di proteggere il proprio patrimonio industriale e culturale in un mondo sempre più globalizzato.



Europa: personaggi in cerca dautore

Nel mezzo di questo scontro tra titani Stati Uniti e Cina – l’Europa appare come un continente disorientato, stanco, privo di una visione propria. Gli anni della globalizzazione lhanno ridotta a un parco giochi per capitali stranieri, un museo a cielo aperto dove si consuma cultura ma non si produce futuro. La sua industria è stata delocalizzata, il suo debito è esploso, la bilancia commerciale è ormai strutturalmente negativa. E ora, come se non bastasse, la politica europea cerca risposte elemosinando attenzione a Washington e Pechino, invece di interrogarsi su come riconquistare un minimo di autonomia.

Giorgia Meloni mandata da Ursula von der Leyen a cercare dialogocon Donald Trump rappresenta plasticamente la condizione della politica continentale: lEuropa non decide più, supplica. Non guida, insegue. Invece di elaborare una strategia per ricostruire una filiera industriale, investire in ricerca, difendere il proprio patrimonio produttivo e culturale, i governi europei si affidano a narrative di corto respiro e a politiche cerotto.

Ma senza industria, senza visione, senza identità, quale posto può avere lEuropa nel mondo che si va configurando? Da ex faro della cultura normativa globale, ci siamo ridotti a personaggi in cerca dautore, spettatori della grande storia scritta altrove. Il rischio più grave non è solo economico, ma esistenziale: diventare irrilevanti. E lirrilevanza, nella storia, è spesso solo il preludio alla dissoluzione.


LUCA COSTA

articoli di Luca Costa



mercoledì 16 aprile 2025

Ideologia per tutti, trasparenza per nessuno

 

L’UE, il bancomat del wokismo: miliardi per ONG, ideologia per tutti, trasparenza per nessuno


Siamo sinceri: qualcuno si stupisce ancora che l’Unione Europea non sappia dove finiscono i soldi che distribuisce a pioggia? Sorpresa: miliardi di euro dei contribuenti europei — i soliti fessi che lavorano, pagano le tasse e tirano la cinghia — finiscono regolarmente in quella gigantesca cloaca ideologica che è la galassia delle ONG. E nessuno, ma proprio nessuno, è in grado di dire dove vadano a finire davvero.

Secondo un rapporto fresco fresco della Corte dei conti europea, tra il 2021 e il 2023, Bruxelles ha distribuito più di 7 miliardi di euro a ben 12.000 ONG. E indovina un po’? Non c’è uno straccio di controllo serio, nessuna tracciabilità sui fondi, zero trasparenza. Ma chi se ne frega, no? L’importante è “fare il bene”, cioè finanziare la nuova religione laica dell’Unione: wokismo, diritti arcobaleno, immigrazione senza freni, minoranze coccolate come panda in via d’estinzione. E il popolo? Il popolo può tranquillamente andare a morire di bollette, tasse e burocrazia. Silenziosamente, possibilmente.

Il punto è chiaro: questi soldi non finanziano progetti sociali, ma servono a irrorare con fertilizzante ideologico una rete di organizzazioni che hanno il compito di rieducare i cittadini europei. Ogni euro diventa una bandierina arcobaleno, una campagna contro l’“odio”, un centro culturale “inclusivo”, un’“emergenza migratoria” da gestire con altri miliardi. È la nuova morale europea: l’importante è essere virtuosi, anche se non si sa bene in che direzione stiamo andando.

E nel frattempo? Un fondo da 5 miliardi per l’Africa pensato per ridurre l’immigrazione finisce per comprare frullatori in villaggi senza elettricità. Il simbolo perfetto dell’UE: spesa assurda, risultato zero, ma piena soddisfazione morale. E se osi criticare, sei populista, fascista, o peggio, euroscettico.

Siamo nell’epoca dell’ecologismo, ma qui ci vorrebbe una bonifica ambientale della spesa pubblica. Serve disinquinare le istituzioni europee da questa sbornia ideologica che ormai ha superato ogni livello di guardia. Serve un po’ di igiene contabile, ma anche culturale. Perché non è solo un problema di soldi buttati: è un problema di visione del mondo. Una visione che calpesta la realtà, ignora i problemi concreti e continua a pretendere il plauso del gregge.

E intanto, ogni mattina, il contribuente europeo si sveglia e scopre che l’UE gli ha preso altri dieci euro per finanziare il nulla. Ma non preoccuparti: lo fanno per il tuo bene. Per l’inclusione. Per la sostenibilità. Per la diversità.

E se poi non arrivi a fine mese… beh, problema tuo.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



sabato 12 aprile 2025

Ipocrisie atomiche

 

Chi decide chi può e chi non può?

Ipocrisie atomiche a stelle e strisce

Donald Trump è tornato a parlare di Iran e nucleare. In un’intervista recente, ha ribadito con tono categorico: "L’Iran non può avere la bomba atomica. Non può." Un “non può” ripetuto con la solennità di una legge naturale, di quelle che non si discutono, non si interpretano: si obbediscono. Ma da quale pulpito arriva questa verità assoluta? E soprattutto: chi decide davvero cosa si può e cosa non si può fare nel mondo?

Gli Stati Uniti — che continuano a fornire armi, protezione politica e impunità morale a un alleato come Israele, impegnato in una campagna militare che ha causato oltre 30.000 morti tra i civili palestinesi, inclusi migliaia di bambini — si arrogano ancora una volta il ruolo di giudici supremi della legittimità internazionale. Ma come può un Paese che giustifica (o peggio, ignora) l’uccisione sistematica di innocenti, parlare di “non possibilità” altrui?

C’è una sproporzione oscena tra ciò che gli Stati Uniti si permettono e ciò che pretendono dagli altri. Israele può bombardare scuole, ospedali, rifugi. Può sfidare risoluzioni ONU, ignorare appelli umanitari, occupare territori, costruire muri e apartheid. Può avere armi nucleari non dichiarate, fuori da ogni trattato. Può. Tutto può. E chi lo sostiene, lo copre, lo finanzia, può a sua volta ergersi a giudice e dire all’Iran che non può.

Ecco l’ipocrisia che ci soffoca. La questione iraniana è complessa, certo. Ma non può essere affrontata da chi ha trasformato la potenza in diritto, l’arbitrio in norma, il doppio standard in regola diplomatica. Gli Stati Uniti si sono fatti scudo di un ordine mondiale a senso unico, dove loro possono invadere, bombardare, destabilizzare, armare dittature, finanziare massacri — e al contempo pretendere dagli altri sobrietà, trasparenza e obbedienza.

Che legittimità ha oggi Washington di parlare di "pace", "diritti umani" o "non proliferazione"? Zero. Il mondo intero vede la contraddizione, ma pochi osano dirlo. Trump grida che Teheran non può avere la bomba, ma chi risponde che forse nemmeno Tel Aviv dovrebbe averla? O che forse nessuno dovrebbe averla, a partire proprio dagli USA, che ne hanno usate due sulle popolazioni civili di Hiroshima e Nagasaki, e che ancora oggi mantengono l’arsenale nucleare più vasto del pianeta?

Nel momento in cui la parola "non può" viene pronunciata da chi ha sempre fatto ciò che voleva, allora non è più una norma. È una minaccia. È un ricatto. È l'ennesima conferma che la geopolitica è ancora un teatro in cui i forti scrivono le regole e gli altri le subiscono.

L’Iran forse non può. Ma non perché lo dice Trump. Perché lo dice la pace, il diritto internazionale, l’equilibrio globale. Ma allora diciamolo a tutti. Anche a Israele. Anche agli USA. Anche alla NATO. Diciamolo senza ipocrisie, senza eccezioni, senza doppi pesi e misure.

Altrimenti, quel “non può” non vale nulla. È solo l’eco arrogante di un impero in declino, che si aggrappa ai suoi privilegi come un vecchio sovrano impaurito. E il mondo, stanco, comincia a non ascoltarlo più.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



martedì 8 aprile 2025

La guerra è pace...

"La Guerra è Pace, il Riarmo è Necessario, la Coerenza è Facoltativa"

Ah, che meraviglia laria frizzantina che si respira in questi giorni nei salotti editoriali della stampa italiana benpensante e ultra-liberale. Non si parla daltro: RIARMARSI. Ma non come un vezzo, non come un capriccio. No no, è necessario. L’aggettivo riecheggia tra le colonne dei quotidiani come un mantra laico. Le armi, oggi, non sono solo strumenti di morte: sono simboli di virtù, di civiltà, di progresso. Anzi, di valori europei. Un Kalashnikov per la libertà. Un missile per la pace. Una fregata militare per linclusività.

Dove una volta si combatteva per pane, lavoro e diritti, oggi si scende in piazza perdroni? Il paradosso è servito, e ce lo servono con il ditino alzato. Le stesse firme che per decenni hanno difeso l’austerità come se fosse un sacramento economico, oggi diventano pasdaran della spesa pubblica militare. Lo chiamano "investimento". Dicono: Dobbiamo difendere lEuropa!Ma da chi, esattamente? Dai nostri stessi fantasmi?

C'è qualcosa di sublime e perfino comico nel vedere questi editorialisti scoprire il significato della parola necessario. Dove erano, i paladini della necessità, quando si chiudevano ospedali a colpi di spending review? Quando gli infermieri venivano pagati come stagisti? Quando gli insegnanti, ridotti allo status di sacerdoti precari, dovevano comprarsi la carta igienica per la classe? Dove erano i "valori" mentre franavano le infrastrutture, si sventravano i paesaggi e si derubricava la cultura a orpello?

Silenzio. Anzi, peggio: c'era l'applauso. Bisogna fare sacrifici. Ma ora, per i carri armati, nessun sacrificio è troppo grande. È NECESSARIO.

E il bello è che la stessa Unione Europea quella tecnocratica, laica, iperrazionale ora ci viene a dire che dobbiamo armarci. E lo dice con lautorità... di chi non ha alcuna competenza in materia. Già, perché l’UE, in teoria, non ha giurisdizione sugli eserciti dei singoli Stati. Ma in pratica, da qualche tempo, sembra più lo zio militarizzato che fa irruzione alle feste e ti spiega perché è meglio comprare un Leopard 2 piuttosto che ristrutturare la scuola elementare cadente.

E nel frattempo, chi osa sollevare un sopracciglio viene etichettato come nostalgico, pacifista da salotto, irresponsabile. È la nuova ortodossia: o sei per il riarmo, o sei contro la civiltà.

L’Europa dei diritti è diventata lEuropa dei droni. LEuropa dei popoli è diventata lEuropa dei contractor. E tutto questo viene ammantato da unepica da film bellico: dobbiamo difendere i nostri valori. Ma viene da chiedersi: quali valori? La coerenza, evidentemente, non rientra tra questi.

In fondo, forse avevano ragione loro sin dall'inizio. La pace era solo un intermezzo. Il vero progetto europeo quello inconfessato, quello ReamEurope ha finalmente gettato la maschera. Non più "uniti nella diversità", ma "uniti negli armamenti". E chi non si accoda, è fuori dal coro. Anzi, fuori dall’Europa.

D’altronde, nel 2025, nulla è più rivoluzionario del chiedere fondi per un ospedale. Nulla è più eversivo del dire: abbiamo bisogno di insegnanti, non di caccia F-35. E nulla è più sarcasticamente tragico del fatto che dire questo significhi essere etichettati come ingenui.

Ma chi vuole essere cinico oggi, ha il mondo in mano. Basta dire una sola parola, con voce ferma, sguardo fiero, e una lacrimuccia patriottica:
NECESSARIO.

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LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo


domenica 6 aprile 2025

Magistratura alla deriva

 Italia, sicurezza alla deriva: quando la magistratura dimentica il popolo in nome del quale dovrebbe giudicare

C’è un’Italia che chiede sicurezza. UnItalia che non ne può più. Donne che hanno paura a camminare da sole la sera. Anziani barricati in casa. Genitori che non osano più mandare i figli a scuola da soli. È la realtà quotidiana: violenze gratuite, stupri, accoltellamenti, aggressioni, risse, rapine. Una spirale crescente che ha travolto il Paese e che mostra, ogni giorno di più, la totale impotenza dello Stato nel garantire lordine e la legalità.

Il sentimento diffuso, in ogni classe sociale e in ogni fascia d’età, è uno solo: insicurezza. Una paura ormai radicata, non più frutto di percezioni alterate, ma confermata giorno dopo giorno dai fatti. Anche in quelle realtà di provincia un tempo simbolo di pace e tranquillità. E di fronte a tutto questo, la risposta dello Stato è rimasta la stessa: inadeguata, farraginosa, permissiva.

Il nostro impianto penale e processuale costruito per una società diversa (e scomparsa) — è divenuto un ostacolo strutturale alla giustizia (quella vera). Un sistema che ha smarrito il principio basilare della deterrenza, sostituito da unideologia buonista degna di un “liberi tutti” incondizionato. Sconti di pena di default”, misure alternative alla detenzione estese anche ai recidivi, sospensioni condizionali, rinvii, cavilli, attenuanti generiche tutto ruota attorno al reo, mai attorno alla vittima.

Oggi in Italia si può aggredire una donna e non fare nemmeno un giorno di carcere. Si può accoltellare per una lite e tornare liberi in meno di ventiquattrore. Si può vivere da ladro seriale e continuare a godere dei benefici di un sistema rieducativoche ha completamente perso contatto con la realtà.

Questo non è più tollerabile. Non esiste civiltà senza ordine, e non esiste ordine senza la certezza che ogni gesto criminale porti conseguenze vere, rapide, visibili. Il cittadino deve sapere che lo Stato lo protegge. Il delinquente deve sapere che lo Stato lo punirà. Subito.

Occorre dunque una svolta radicale: un nuovo automatismo tra reato e carcere, soprattutto per i reati violenti. Chi agisce con violenza deve essere immediatamente allontanato dalla società. Senza se, senza ma. Basta scorciatoie, basta buonismo ideologico.

Ed è proprio in questo contesto che il governo Meloni pur con ritardo e timidezza ha presentato un nuovo Disegno di Legge Sicurezza, recentemente approvato alla Camera. Il provvedimento introduce misure che vanno in parte nella giusta direzione:

  • Inasprimento delle pene per occupazioni abusive di immobili, con reclusione da 2 a 7 anni.

  • Reintroduzione del reato di blocco stradale o ferroviario, con pene da 6 mesi a 2 anni.

  • Aggravanti per reati commessi in stazioni o mezzi pubblici.

  • Possibilità per il giudice di negare il rinvio della pena per madri condannate se sussiste rischio di recidiva.

  • Divieto di vendita di SIM a migranti irregolari.

  • Classificazione della cannabis light come sostanza stupefacente.

  • Uso esteso delle bodycam per le forze dellordine.

  • Aumento delle pene per resistenza e violenza a pubblico ufficiale.

  • Estensione del Daspo urbano anche a chi ha commesso reati contro la persona o il patrimonio in contesti pubblici.

Misure condivisibili, per certi aspetti. Ma diciamolo con franchezza: largamente e totalmente insufficienti a fronteggiare la gravità della situazione. Si tratta di aggiustamenti, correzioni di rotta marginali, non di una riforma organica. Il codice penale e il codice di procedura rimangono inadeguati e in ritardo di trent’anni. La violenza continua a camminare indisturbata nelle nostre strade.

E proprio quando un governo seppure con goffaggine e ritardo prova almeno in parte a toccare questi temi, ecco che una parte della magistratura scende in campo per attaccare il DdL, non per ragioni tecniche, non per rilievi costituzionali, ma per esplicite prese di posizione ideologiche e politiche. È l’ANM, lAssociazione Nazionale Magistrati, a prendere la parola con toni da comizio, schierandosi apertamente contro limpostazione del governo.

Ma chi ha autorizzato questi magistrati a comportarsi da attori politici? Dove finisce limparzialità e comincia lattivismo? La magistratura non ha il diritto di dettare la linea politica a un governo democraticamente eletto, soprattutto su temi come la sicurezza pubblica che riguardano direttamente la volontà popolare.

La Costituzione parla chiaro: i magistrati giudicano in nome del popolo italiano. Ma oggi una parte della magistratura ha evidentemente dimenticato chi è quel popolo, cosa vive ogni giorno, cosa chiede da anni. Si mostrano imparziali con i criminali, ma militanti contro chi cerca finalmente di ridare senso alla legge.

È legittimo chiedersi: da che parte stanno queste toghe? Difendono i cittadini o difendono sé stesse? Difendono la legalità o unideologia? Vogliono applicare la legge o usarla per combattere chi non la pensa come loro?

Attenzione: qui non si tratta di difendere il governo. Anzi, il governo Meloni è colpevole di mendacio ed è colpevolmente in ritardo su tutto, le sue risposte sono deboli e insufficienti. Ma proprio per questo è ancora più grave che una parte della magistratura decida di usare la sua funzione per ostacolare, pubblicamente e politicamente, ogni tentativo di intervento, anche minimo.

La separazione dei poteri non è un pretesto per fare politica in toga. Se un magistrato vuole partecipare al dibattito pubblico, ha uno strumento: si candidi. Altrimenti taccia, e giudichi in silenzio, con equilibrio, con rispetto per il popolo da cui trae legittimità.

Oggi lItalia ha bisogno di sicurezza. E ha bisogno di una giustizia che non sia né militante né complice. Ha bisogno di riforme serie, radicali, urgenti. Ma ha anche bisogno che ognuno torni al proprio posto, e rispetti il confine tra la funzione che esercita e il potere che non gli compete.

Il tempo delle parole è finito. Adesso serve serietà, responsabilità, coraggio. O la frattura tra Stato e cittadini diventerà definitiva.

LUCA COSTA

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