venerdì 27 giugno 2025

Vassalli degli USA

 NATO: un branco di vassalli sottomessi agli interessi americani. E lUE? Una nullità utile solo a seppellirci vivi

Il vertice dell’Aja è stata lennesima rappresentazione teatrale del declino europeo: una passerella umiliante in cui Giorgia Meloni, insieme agli altri leader europei, ha firmato col sangue il nostro asservimento a Washington. La NATO, ormai ridotta a organismo mercenario dellimpero americano, ha deciso che spenderemo almeno il 5% del PIL in armi. Per lItalia significa quasi 40 miliardi allanno. Per cosa? Per riempire i magazzini della Lockheed Martin, mentre nelle nostre scuole manca la carta igienica e negli ospedali saltano le TAC perché non c’è personale.

AllAja non si è celebrata lunità atlantica, ma il funerale della dignità europea. Un rito lugubre in cui ogni capo di Stato ha recitato il suo ruolo di cortigiano. E Giorgia Meloni, con la sua consueta arroganza patriottarda, si è distinta per zelo servile: invece di tutelare l'interesse nazionale, ha promesso aiuti illimitati a Kiev e miliardi in acquisti bellici made in USA, mentre gli insegnanti italiani sono pagati meno che in qualunque altro Paese sviluppato”.

L'Italia un Paese in ginocchio, con una sanità pubblica allo sfascio e una povertà educativa devastante trova però i soldi per lindustria bellica statunitense. Caccia, missili, droni, carri armati: ci indebitiamo per acquistare arsenali che non difenderanno nulla, se non il bilancio del Pentagono. Nessuna strategia, nessuna autonomia, solo obbedienza. La NATO non è più un'alleanza: è una centrale di comando americana a cui lEuropa fornisce soldi, uomini, sangue.

Giorgia Meloni non ha nemmeno tentato una difesa di facciata: ha ribadito la fedeltà atlanticacome fosse una medaglia, non una condanna. Con toni enfatici ha garantito che lItalia sarà “all’altezza degli impegni, cioè che continueremo a tagliare sui servizi essenziali per spendere 400 miliardi in dieci anni in nome di una sicurezzache non ci riguarda. Ma davvero qualcuno crede che inviare armi in Ucraina o in Medio Oriente ci renderà più sicuri?

L’Unione Europea, dal canto suo, ha avuto il solito ruolo da comparsa: una burocrazia senzanima che si limita a ratificare ogni decisione presa oltreoceano. Il nuovo Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, ha elogiato Trump (sì, proprio lui) come fosse un garante di stabilità. Rutte è olandese, ma parla già come portavoce del Dipartimento di Stato americano. Il resto dei leader UE non ha battuto ciglio.

L’Europa si svena per la guerra, ma non ha un progetto per i suoi cittadini

Invece di investire in sanità, scuola, innovazione o natalità – ovvero le vere priorità – i governi europei alimentano un delirio militarista su ordine di Washington. LUE non serve più a nulla: non difende leconomia, non protegge i confini, non ha una voce autonoma. È solo il notaio di un declino inarrestabile.

La Meloni, che si vantava di voler rimettere lItalia al centro, ha preferito inchinarsi. Nessuna trattativa, nessuna condizione, solo yes man e contratti miliardari firmati a occhi chiusi. Lo chiamano realismo geopolitico, ma è viltà politica. I cittadini italiani si trovano a dover scegliere tra pagare le bollette o curarsi i denti, mentre lo Stato promette spese faraoniche in armamenti made in USA. Altro che interesse nazionale.

LEuropa si autodistrugge per obbedire a Washington

La NATO è il braccio armato di un impero in declino che usa lEuropa come campo di battaglia e mercato di sbocco. LUE, dal canto suo, è un carrozzone burocratico che ha smesso di pensare. Il nostro continente si sta suicidando per fedeltà cieca agli USA: alimentiamo guerre che non ci appartengono e sacrifichiamo ogni risorsa al culto della deterrenza. Il risultato? UnEuropa più povera, più divisa, più inutile. E unItalia ridotta a colonia senza voce, senza orgoglio, senza futuro.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



mercoledì 25 giugno 2025

Siria: strage di Cristiani

 SIRIA: I CRISTIANI MUOIONO NEL SILENZIO. IL NUOVO REGIME, VOLUTO DAGLI USA E DA ISRAELE, È UNA MACELLERIA ISLAMISTA

di Luca Costa

Strage durante la Messa

Domenica scorsa, 22 giugno, durante la messa alla Chiesa di Mar Elias a Damasco, una bomba è esplosa in mezzo ai fedeli. Lattentato ha causato almeno decine di morti e decine di feriti. Un massacro. Silenzioso. Come sempre accade quando a morire sono cristiani in Medio Oriente.

Il patriarca greco-ortodosso di Antiochia, John X Yazigi, ha rotto gli argini: ha dichiarato pubblicamente che il nuovo governo siriano è complice, se non responsabile diretto, per non aver garantito nemmeno il minimo della sicurezza a una comunità ormai decimata. Una denuncia che dovrebbe far rumore. Ma nessuno ne parla.

Perché oggi, chi uccide i cristiani in Siria non è il solito "tiranno", ma un alleato strategico voluto, creato da Washington e benedetto da Tel Aviv.


Dal cambiamento di regime alla catastrofe

Chi ha voluto la distruzione della Siria? La risposta è chiara e documentata: gli Stati Uniti, Israele, Turchia, e i loro alleati del Golfo, che fin dal 2011 hanno finanziato, armato e protetto uninsurrezione settaria e jihadista contro il governo di Bashar alAssad. Un leader autoritario, certo, ma che garantiva un equilibrio confessionale. La Siria era uno degli ultimi paesi arabi dove cristiani, musulmani sunniti, sciiti, drusi e alawiti convivevano, seppur sotto sorveglianza statale.

Ma lobiettivo dellOccidente non era la pace. Era lannientamento di Assad, considerato troppo vicino alla Russia e all’Iran, troppo resistente allegemonia americana nella regione. Così, in nome dei diritti umani, si è spalancata la porta allinferno: Al-Qaeda, ISIS, Al-Nusra, HTS, tutti incoraggiati, direttamente o indirettamente, da decine di miliardi di dollari in armi e appoggio logistico.



Il nuovo volto del potere: Ahmed alSharaa

Ora, nel 2025, a 14 anni dallinizio del caos, la Siria è caduta definitivamente nelle mani di un altro tipo di tiranno. Il nuovo presidente siriano si chiama Ahmed alSharaa, meglio noto con il nome di battaglia Abu Mohammad alJoulani. È un ex comandante di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), gruppo nato da una costola di Al-Qaeda in Siria. Un uomo che fino a un anno fa era sulla lista nera del Dipartimento di Stato americano come terrorista internazionale, con una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa.

E oggi? Oggi è il presidente della Siria. Ufficialmente ad interim, ma con pieni poteri, senza parlamento, con una nuova costituzione provvisoria basata sulla sharia, e con lappoggio implicito di Washington, Ankara, Doha e Tel Aviv.

Nel gennaio 2025 ha deposto Assad dopo una campagna militare lampo, ed è stato proclamato leader da unassemblea farlocca messa in piedi da ex ribelli, miliziani e consiglieri stranieri. Oggi controlla la sicurezza, la magistratura, lesercito e la stampa. Un potere assoluto, fondato sulla religione e sulla vendetta.


Chi è davvero alSharaa? Un "presidente" jihadista

Al‑Sharaa non è un volto nuovo per chi segue la guerra siriana. Era il volto mediatico di Jabhat al-Nusra, braccio siriano di Al-Qaeda, che si è poi riciclatoin HTS. Un gruppo che ha massacrato alawiti, cristiani, sciiti e curdi, usando metodi da guerra santa: decapitazioni, pulizia etnica, imposizione della legge islamica.

Con laiuto turco, qatariota e americano, ha trasformato Idlib in un emirato islamista. E ora, con il favore della distrazione globale, ha esteso il suo controllo a Damasco e al resto della Siria occidentale. Eppure, nessun editoriale indignato. Nulla. Tutto va a meraviglia nel migliore dei mondi possibili: quello a stelle e strisce.Cristiani: bersagli senza voce

La comunità cristiana siriana è passata da oltre 2 milioni di fedeli nel 2010 a meno di 400.000 oggi. I villaggi cristiani sono stati svuotati, saccheggiati, bombardati. I simboli religiosi distrutti. Le chiese incendiate. E ora, dopo lattentato di Damasco, è chiaro che non c’è nessuna intenzione di proteggerli. Nessuna. Nessun leader europeo ha detto una parola.

La nuova Siria jihadista non ha spazio per chi non si piega alla legge religiosa. I cristiani vengono intimiditi, discriminati, costretti a fuggire. I loro leader sono lasciati soli. La loro sofferenza viene ignorata dai media occidentali, troppo impegnati a difendere le nuove democrazienate a suon di bombe.


Occidente: complice e servo

Non è solo colpa degli estremisti locali. È colpa di chi li ha creati, finanziati, organizzati e legittimati. È colpa degli Stati Uniti, che hanno scommesso sulla caduta di Assad per spezzare lasse Mosca-Teheran-Damasco. È colpa di Israele, che ha colto loccasione per indebolire un vicino scomodo e destabilizzare larea a proprio vantaggio. È colpa dellEuropa, che ha seguito a testa bassa ogni strategia imposta da Washington, senza mai fermarsi a guardare le conseguenze.

E ora che la Siria è diventata un inferno islamico sotto Ahmed alSharaa, nessuno osa alzare la voce. Perché il nuovo regimefa comodo: non è anti-americano, non è pro-iraniano. È brutalmente islamista, ma fa i nostri interessi”.


Conclusione: la Siria non è rinata. È stata assassinata

La Siria non è rinata. È stata distrutta, svenduta e offerta in sacrificio agli interessi geopolitici di USA e Israele, con la complicità delle monarchie del Golfo e il silenzio vile dellEuropa. Le minoranze cristiani in primis sono diventate carne da macello, pedine inutili di una partita tra superpotenze.

E nessuno, né a Bruxelles, né a Roma, né a Washington, ha il coraggio di dire la verità: che ciò che oggi guida la Siria non è una rivoluzione, ma un regime islamista armato, benedetto dalle cancellerie occidentali, incapaci di spiegarci quale sia in fondo la differenza tra al-Sharaa e Khamenei.

In base a cosa uno sarebbe “buono” e l’altro “cattivo”?

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



lunedì 23 giugno 2025

Per un Iran libero

 

Mohammad Mossadeq, l'uomo che sognò un Iran libero e fu schiacciato dal cinismo occidentale

di Luca Costa

C’è una foto, una sola immagine che racconta, più di mille parole, la dignità di un uomo e la tragedia di un popolo. Mohammad Mossadeq, seduto per terra, il capo chino, un bastone tra le dita, avvolto in un mantello che pare pesare quanto la Storia. Non è solo limmagine di un uomo anziano. È il ritratto del lutto politico di un'intera nazione. LIran o meglio, la Persia, come la chiamava lui tradito, invaso, ridotto a pedina nel grande risiko coloniale.

Mossadeq fu un patriota, un gigante della dignità. Fu primo ministro dellIran dal 1951 al 1953, salito al potere con il sostegno del Parlamento e con lobiettivo chiarissimo di restituire al suo popolo ciò che gli spettava: la sovranità sulle proprie risorse naturali, in particolare il petrolio, allora gestito e sfruttato dalla Anglo-Iranian Oil Company (oggi BP), simbolo stesso del dominio coloniale britannico.

La nazionalizzazione del petrolio: un atto di giustizia

Nel 1951, Mossadeq compì un atto che ai potenti dOccidente parve blasfemo: nazionalizzò l’industria petrolifera iraniana. Un atto di autodeterminazione. Un atto di giustizia sociale. La popolazione iraniana, per la prima volta, vedeva un leader che non svendeva la patria, che sfidava apertamente i saccheggiatori imperiali. Il Parlamento lo sostenne. Il popolo lo adorava.

Ma Londra e Washington no.

Il colpo di Stato del 1953: CIA, MI6, e il prezzo dellavidità

Nel 1953, sotto lamministrazione Eisenhower e con lapporto fondamentale del governo britannico di Churchill, fu messo in atto l’Operazione Ajax, un colpo di Stato segreto orchestrato dalla CIA e dal MI6 per rovesciare Mossadeq. Documenti desecretati lo confermano in ogni dettaglio: tangenti a generali iraniani, propaganda sui giornali, disordini artificiali, infiltrazioni nelle proteste. Fu il laboratorio del regime change, il modello esportato in Cile, in Congo, in Guatemala, e oggi minacciato altrove sempre in nome della democrazia, sempre in difesa del capitale.

Mossadeq fu arrestato. Processato. Condannato. Morì agli arresti domiciliari, dimenticato dallOccidente che lo aveva abbattuto e ridotto lIran, ancora una volta, a colonia economica. Al suo posto fu reinsediato lo Scià Reza Pahlavi, burattino di Washington e garante degli interessi petroliferi stranieri. Linizio di un regime autoritario, moderno solo nei grattacieli, brutale nei sotterranei della SAVAK, la polizia segreta addestrata dalla CIA e dal Mossad.

E oggi?

Oggi gli Stati Uniti parlano ancora, senza vergogna, di cambio di regimein Iran. Parlano di esportare libertà mentre vendono armi a regimi che la libertà la strangolano. Parlano di democrazia, ma calpestano ogni popolo che non si pieghi alla loro egemonia. E con loro, Israele, che negli ultimi anni ha condotto operazioni clandestine, sabotaggi, e omicidi mirati su territorio iraniano, giocando a Risiko con la vita degli altri, coperto dalla retorica dell’esportazione della democrazia.

E la stampa occidentale? Zitta. O complice. Perché è più comodo parlare di teocrazia iranianache riconoscere lorigine coloniale del caos. Più facile invocare sanzioni che chiedere scusa per aver distrutto una democrazia nascente nel 1953.

Mossadeq: luomo che poteva cambiare il Medio Oriente

Cosa sarebbe stato lIran, se Mossadeq fosse rimasto al potere? Un paese indipendente, forse laico, democratico, con un modello economico ispirato alla giustizia sociale. Non un terreno di scontri, non un bersaglio. Avrebbe fatto scuola nel mondo arabo e asiatico. Per questo fu abbattuto: perché era un esempio.

Mossadeq non era un socialista rivoluzionario, non era un islamista, non era un uomo delle armi. Era un costituzionalista liberale, uno statista colto e determinato. Ma lOccidente, ancora una volta, ha preferito la stabilità dei profitti alla dignità dei popoli.

Un dovere di memoria

Oggi, davanti alla minaccia di nuovi conflitti e alle ipocrisie che infestano il linguaggio diplomatico americano e israeliano, è nostro dovere ricordare Mossadeq. Non solo come simbolo della democrazia tradita, ma come monito permanente: limperialismo si maschera da intervento umanitario, da difesa della libertà”. Ma chi conosce la storia non si fa prendere in giro.

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



Un presidente per la guerra?

 

Il presidente della pace è diventato uomo di guerra? Il misterioso cambio di rotta di Donald Trump

di Luca Costa


Washington, notte tra il 21 e il 22 giugno. Un silenzio denso cala sullopinione pubblica americana mentre la Casa Bianca, senza alcun preavviso formale, conferma lattacco a sorpresa contro infrastrutture nucleari iraniane. A colpire, in unoperazione chirurgica e spettacolare, sono stati i Northrop B-2 Spirit: gli stessi bombardieri invisibili già tristemente noti per aver seminato distruzione a Belgrado nel 1999. Limpatto geopolitico è immediato. L'Iran minaccia ritorsioni, la Russia convoca il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la Cina osserva con freddezza calcolata, e il Medio Oriente brucia.

Ma c'è un’altra domanda che circola, sussurrata nei corridoi di Washington e urlata sulle piattaforme indipendenti: cos’è successo a Donald Trump?

L’uomo che si era fatto eleggere ancora una volta come il presidente della pace, promettendo di porre fine alle guerre infinitee di ridurre il coinvolgimento degli Stati Uniti negli affari esteri, ora pare agire con la mano pesante dei neocon di un tempo. In Ucraina, le forniture militari USA si sono intensificate, a Gaza lambiguità diplomatica lascia il posto a un appoggio più esplicito a Israele, e ora lapertura di un nuovo fronte con Teheran rischia di allargare il conflitto a scala mondiale.

Un cambio di rotta. Ma perché?

È qui che lindagine si fa più scomoda.

Circa tre settimane fa, alcune testate europee e sudamericane hanno cominciato a pubblicare nuove foto dellex presidente Trump alle feste organizzate dal miliardario e trafficante di minorenni Jeffrey Epstein. Le immagini non tutte compromettenti, ma certamente imbarazzanti lo ritraggono in contesti di festa, circondato da ragazze molto giovani. E secondo fonti non confermate ma insistenti, ci sarebbero altri materiali ben più esplosivi pronti a emergere: filmati, conversazioni private, forse addirittura documenti compromettenti.

Coincidenza temporale? Forse. Ma legittimo farsi domande.

Il sospetto, che si insinua tra i margini del dibattito pubblico e viene liquidato come complottismoda chi ha interesse a non approfondire, è che qualcuno stia manovrando Trump. Che esistano dossier, forse provenienti da quel gigantesco archivio sotterraneo di Epstein, usati per premere pulsanti strategici nei momenti opportuni. Non è un’ipotesi del tutto nuova: da anni, analisti dellintelligence e giornalisti investigativi come Whitney Webb e altri ipotizzano che la rete Epstein potesse servire tra le altre cose da dispositivo di ricatto internazionale, al servizio di poteri opachi, forse persino statuali.

E qui entra in gioco Israele, partner storico degli Stati Uniti e figura centrale nel dramma geopolitico che si consuma a Gaza, in Iran e nella diplomazia americana. Alcuni ex agenti del Mossad, in interviste mai ufficialmente confermate, hanno lasciato intendere che Epstein non fosse solo un predatore sessuale, ma anche una pedina in un gioco molto più grande, orientato a raccogliere materiale compromettente sui potenti della terra. Un sistema di controllo e ricatto, insomma.

Se anche solo una parte di questa teoria fosse vera, allora la domanda si impone: Trump ha cambiato tono perché ricattato?

È ipotizzabile che lamministrazione abbia deciso lintervento militare in Iran non per ragioni strategiche autentiche, ma per deviare lattenzione pubblica e internazionale da uno scandalo personale devastante in arrivo? E se sì, quali altre decisioni potrebbero essere state o potrebbero essere in futuro guidate dalla paura e non dalla ragione?

Non abbiamo risposte certe. Ma le domande restano.

Nel frattempo, il mondo trattiene il fiato. Lequilibrio tra le potenze è sempre più instabile, e la leadership americana appare meno coerente che mai. È forse tempo che l'opinione pubblica americana e non solo si interroghi non solo su ciò che Trump fa, ma su cosa o chi muove davvero la sua mano.

Perché la pace promessa è diventata guerra. Israele tiene gli USA al guinzaglio?

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo






venerdì 20 giugno 2025

Catastrofe pedagogica

Educazione al collasso: lOccidente ha distrutto i suoi figli

No, non è una crisi. È una catastrofe. E non riguarda solo la scuola. È una disintegrazione culturale, sociale, antropologica. Sta accadendo sotto i nostri occhi, e nessuno sembra avere il coraggio di nominarla per quello che è: il vuoto educativo dell’Occidente è un suicidio collettivo dellintelligenza e della civiltà.

Italia, Francia, e molti altri paesi europei che si sono fatti vanto di essere progressisti” e modernihanno fatto da cavie inconsapevoli per un gigantesco esperimento sociale: demolire leducazione in nome del nulla. Il risultato? Bambini che non parlano. Adolescenti che non sanno leggere. Diplomati incapaci di scrivere in italiano corretto o fare un calcolo mentale. Ragazzi senza memoria, senza parole, senza pensiero. Senza cuore e senza cervello.

Non sono numeri PISA: è il disastro quotidiano dentro le aule, nei corridoi, nei bar, nei tram, nei social.

Un’infanzia svuotata: il deserto prima della scuola

Attenti a chi parla di riforme e di scuola. Il crollo di cui parliamo inizia ben prima della scuola. I bambini non parlano perché nessuno parla con loro. Non ci sono fratelli, non ci sono cugini, non ci sono giochi collettivi, non ci sono litigi che insegnano a vivere. C’è solo lo schermo, il tablet, la televisione spenta sulla solitudine. Genitori e nonni incollati ai cellulari, madri e padri che si definiscono presentima sono assenti nei fatti, incapaci di trasmettere un racconto, un gioco, una preghiera, un ricordo, un’attesa.

Non si prega più, non si canta più. Non si litiga neanche più: il conflitto è stato rimosso come esperienza educativa. Tutto è anestetizzato. Linfanzia è parcheggiata, isolata, spersonalizzata. E la scuola si ritrova a raccogliere in prima elementare bambini che non hanno nulla, nessuna base, nessuna struttura, nessun ritmo. Persi prima di intraprendere il cammino.


La scuola è diventata una corsa a vuoto

E cosa fa la scuola? Invece di fermarsi e costruire fondamenta, corre. Corre verso un programma vuoto. Corre perché ha paura. Perché l’insegnante oggi è un burocrate con troppe carte, troppi alunni, troppi bisogni speciali e zero strumenti.

Una volta si scriveva, si leggeva, si ripeteva. Oggi si incolla. Fotocopie a raffica, didattica usa-e-getta, frasi già pronte da completare. Un tempo cerano 15 alunni: oggi 25, 28, a volte 30. Un tempo si educava: oggi si sopravvive.

E quando questi ragazzi arrivano alle medie, e poi alle superiori, il danno è fatto. Gli insegnanti si trovano di fronte ragazzi che non sanno leggere, non sanno scrivere, non sanno stare zitti 5 minuti. Eppure dovrebbero analizzare Dante, risolvere equazioni, commentare Hegel. È come pretendere di fare trigonometria con chi non sa contare fino a dieci.

Il mondo adulto ha abbandonato la propria funzione

Ma dove sono gli adulti? Dove sono quei luoghi che educavano anche senza volerlo? La strada, la parrocchia, il cortile, il bar, loratorio: tutto cancellato. La socialità ridotta a contatto virtuale. Il corpo del bambino, la sua voce, i suoi silenzi: dimenticati.

Gli adulti hanno rinunciato a educare. Per paura, per comodità, per ideologia. Non si sgridano più i figli, non si dà un limite, non si impone una regola. Ogni autorità è diventata sospetta, ogni gerarchia un crimine. E allora ci si consola con lidea che basta che siano felici, “basta che imparino l’inglese”. Ma felici di cosa, se non sanno nemmeno pensare?

La nuova servitù: lanalfabeta del XXI secolo

Tutto questo ha un costo. E non è solo culturale. È politico, sociale, economico. Il ragazzo che esce dalla scuola senza competenze non è libero: è perfettamente manipolabile. Non è un cittadino: è un consumatore. E infatti il mondo del lavoro sempre più precario, sfruttato, digitalizzato lo accoglie come servo perfetto.

Proprio come nellOttocento, quando unItalia appena unificata lasciava i propri figli nelle mani dei padroni, oggi i giovani vengono offerti in pasto al neoliberismo globale. San Giovanni Bosco allora capì che serviva rifare tutto da capo: educazione, formazione, protezione, spiritualità. Oggi serve la stessa cosa. Ma chi lo farà?

Chi ha il coraggio di educare davvero?

Non si uscirà da questa catastrofe educativa con lennesima riforma, con un algoritmo più sofisticato o con leterna disputa tra pubblico e privato. Il vero problema è che non c’è più nessuno capace di stare davvero di fronte ai nostri giovani con qualcosa di vero da offrire. Hai voglia ad aprire scuole paritarie o parentali! E poi chi ci sta di fronte ai ragazzi?

Oggi, 2025, chi può educare davvero?
Lo Stato, il primo ad aver abdicato! Il primo ad aver rinunciato alle proprie prerogative per dissolvere la nostra cultura nazionale in un mondo liquido diretto da Bruxelles e Washington. Lo Stato? impantanato nei suoi apparati burocratici? Lo Stato a testa bassa di fronte a ogni ideologia nichilista?
La Chiesa di Zuppi, afona e sempre più impaurita? La Chiesa? Anch’essa sempre più open, sempre più ecologista, immigrazionista, Lgbt? Sempre attenta a non essere divisiva, a non offendere, a non urtare? E poi la Chiesa senza più vocazioni, cosa può fare?
Le famiglie, disorientate e stanche? Se non distrutte?

La verità è che la crisi non è di forma, ma di sostanza. La sostanza della nostra civiltà oggi qual è? Il nichilismo più buio.
Allora non si tratta di inventare nuove strategie, ma di riscoprire la vocazione educativa come lavoro umano, totale, radicale. La liquefazione culturale attraversa ogni strato sociale, ogni ideologia, ogni fascia anagrafica. È un vuoto che nessuno oggi sembra poter colmare con la propria presenza.

E allora la domanda resta sospesa, come una ferita aperta:
Chi è ancora disposto a implicarsi davvero nella crescita di un giovane? Chi è ancora capace di trasmettere qualcosa di vero, di bello, di giusto?
Dio lo ha fatto (Gesù era anche un maestro), i santi lo hanno fatto (come può un italiano essere italiano senza conoscere Don Bosco?).

E noi, cosa faremo?

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



Israele contro i Cristiani

 Cisgiordania: Israele contro i cristiani Nel cuore della Cisgiordania, a pochi chilometri da Ramallah, sorge Taybeh, l’ultimo villaggio ...