Mohammad Mossadeq, l'uomo che sognò un Iran libero — e fu schiacciato dal cinismo occidentale
di Luca Costa
C’è una foto, una sola immagine che racconta, più di mille parole, la dignità di un uomo e la tragedia di un popolo. Mohammad Mossadeq, seduto per terra, il capo chino, un bastone tra le dita, avvolto in un mantello che pare pesare quanto la Storia. Non è solo l’immagine di un uomo anziano. È il ritratto del lutto politico di un'intera nazione. L’Iran — o meglio, la Persia, come la chiamava lui — tradito, invaso, ridotto a pedina nel grande risiko coloniale.
Mossadeq fu un patriota, un gigante della dignità. Fu primo ministro dell’Iran dal 1951 al 1953, salito al potere con il sostegno del Parlamento e con l’obiettivo chiarissimo di restituire al suo popolo ciò che gli spettava: la sovranità sulle proprie risorse naturali, in particolare il petrolio, allora gestito e sfruttato dalla Anglo-Iranian Oil Company (oggi BP), simbolo stesso del dominio coloniale britannico.
La nazionalizzazione del petrolio: un atto di giustizia
Nel 1951, Mossadeq compì un atto che ai potenti d’Occidente parve blasfemo: nazionalizzò l’industria petrolifera iraniana. Un atto di autodeterminazione. Un atto di giustizia sociale. La popolazione iraniana, per la prima volta, vedeva un leader che non svendeva la patria, che sfidava apertamente i saccheggiatori imperiali. Il Parlamento lo sostenne. Il popolo lo adorava.
Ma Londra e Washington no.
Il colpo di Stato del 1953: CIA, MI6, e il prezzo dell’avidità
Nel 1953, sotto l’amministrazione Eisenhower e con l’apporto fondamentale del governo britannico di Churchill, fu messo in atto l’Operazione Ajax, un colpo di Stato segreto orchestrato dalla CIA e dal MI6 per rovesciare Mossadeq. Documenti desecretati lo confermano in ogni dettaglio: tangenti a generali iraniani, propaganda sui giornali, disordini artificiali, infiltrazioni nelle proteste. Fu il laboratorio del “regime change”, il modello esportato in Cile, in Congo, in Guatemala, e oggi minacciato altrove — sempre in nome della democrazia, sempre in difesa del capitale.
Mossadeq fu arrestato. Processato. Condannato. Morì agli arresti domiciliari, dimenticato dall’Occidente che lo aveva abbattuto e ridotto l’Iran, ancora una volta, a colonia economica. Al suo posto fu reinsediato lo Scià Reza Pahlavi, burattino di Washington e garante degli interessi petroliferi stranieri. L’inizio di un regime autoritario, moderno solo nei grattacieli, brutale nei sotterranei della SAVAK, la polizia segreta addestrata dalla CIA e dal Mossad.
E oggi?
Oggi gli Stati Uniti parlano ancora, senza vergogna, di “cambio di regime” in Iran. Parlano di esportare libertà mentre vendono armi a regimi che la libertà la strangolano. Parlano di democrazia, ma calpestano ogni popolo che non si pieghi alla loro egemonia. E con loro, Israele, che negli ultimi anni ha condotto operazioni clandestine, sabotaggi, e omicidi mirati su territorio iraniano, giocando a Risiko con la vita degli altri, coperto dalla retorica dell’esportazione della democrazia.
E la stampa occidentale? Zitta. O complice. Perché è più comodo parlare di “teocrazia iraniana” che riconoscere l’origine coloniale del caos. Più facile invocare sanzioni che chiedere scusa per aver distrutto una democrazia nascente nel 1953.
Mossadeq: l’uomo che poteva cambiare il Medio Oriente
Cosa sarebbe stato l’Iran, se Mossadeq fosse rimasto al potere? Un paese indipendente, forse laico, democratico, con un modello economico ispirato alla giustizia sociale. Non un terreno di scontri, non un bersaglio. Avrebbe fatto scuola nel mondo arabo e asiatico. Per questo fu abbattuto: perché era un esempio.
Mossadeq non era un socialista rivoluzionario, non era un islamista, non era un uomo delle armi. Era un costituzionalista liberale, uno statista colto e determinato. Ma l’Occidente, ancora una volta, ha preferito la stabilità dei profitti alla dignità dei popoli.
Un dovere di memoria
Oggi, davanti alla minaccia di nuovi conflitti e alle ipocrisie che infestano il linguaggio diplomatico americano e israeliano, è nostro dovere ricordare Mossadeq. Non solo come simbolo della democrazia tradita, ma come monito permanente: l’imperialismo si maschera da “intervento umanitario”, da “difesa della libertà”. Ma chi conosce la storia non si fa prendere in giro.
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