Il presidente della pace è diventato uomo di guerra? Il misterioso cambio di rotta di Donald Trump
di Luca Costa
Washington, notte tra il 21 e il 22 giugno. Un silenzio denso cala sull’opinione pubblica americana mentre la Casa Bianca, senza alcun preavviso formale, conferma l’attacco a sorpresa contro infrastrutture nucleari iraniane. A colpire, in un’operazione chirurgica e spettacolare, sono stati i Northrop B-2 Spirit: gli stessi bombardieri invisibili già tristemente noti per aver seminato distruzione a Belgrado nel 1999. L’impatto geopolitico è immediato. L'Iran minaccia ritorsioni, la Russia convoca il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la Cina osserva con freddezza calcolata, e il Medio Oriente brucia.
Ma c'è un’altra domanda che circola, sussurrata nei corridoi di Washington e urlata sulle piattaforme indipendenti: cos’è successo a Donald Trump?
L’uomo che si era fatto eleggere — ancora una volta — come il “presidente della pace”, promettendo di porre fine alle “guerre infinite” e di ridurre il coinvolgimento degli Stati Uniti negli affari esteri, ora pare agire con la mano pesante dei neocon di un tempo. In Ucraina, le forniture militari USA si sono intensificate, a Gaza l’ambiguità diplomatica lascia il posto a un appoggio più esplicito a Israele, e ora l’apertura di un nuovo fronte con Teheran rischia di allargare il conflitto a scala mondiale.
Un cambio di rotta. Ma perché?
È qui che l’indagine si fa più scomoda.
Circa tre settimane fa, alcune testate europee e sudamericane hanno cominciato a pubblicare nuove foto dell’ex presidente Trump alle feste organizzate dal miliardario e trafficante di minorenni Jeffrey Epstein. Le immagini — non tutte compromettenti, ma certamente imbarazzanti — lo ritraggono in contesti di festa, circondato da ragazze molto giovani. E secondo fonti non confermate ma insistenti, ci sarebbero altri materiali ben più esplosivi pronti a emergere: filmati, conversazioni private, forse addirittura documenti compromettenti.
Coincidenza temporale? Forse. Ma legittimo farsi domande.
Il sospetto, che si insinua tra i margini del dibattito pubblico e viene liquidato come “complottismo” da chi ha interesse a non approfondire, è che qualcuno stia manovrando Trump. Che esistano dossier, forse provenienti da quel gigantesco archivio sotterraneo di Epstein, usati per premere pulsanti strategici nei momenti opportuni. Non è un’ipotesi del tutto nuova: da anni, analisti dell’intelligence e giornalisti investigativi come Whitney Webb e altri ipotizzano che la rete Epstein potesse servire — tra le altre cose — da dispositivo di ricatto internazionale, al servizio di poteri opachi, forse persino statuali.
E qui entra in gioco Israele, partner storico degli Stati Uniti e figura centrale nel dramma geopolitico che si consuma a Gaza, in Iran e nella diplomazia americana. Alcuni ex agenti del Mossad, in interviste mai ufficialmente confermate, hanno lasciato intendere che Epstein non fosse solo un predatore sessuale, ma anche una pedina in un gioco molto più grande, orientato a raccogliere materiale compromettente sui potenti della terra. Un sistema di controllo e ricatto, insomma.
Se anche solo una parte di questa teoria fosse vera, allora la domanda si impone: Trump ha cambiato tono perché ricattato?
È ipotizzabile che l’amministrazione abbia deciso l’intervento militare in Iran non per ragioni strategiche autentiche, ma per deviare l’attenzione pubblica e internazionale da uno scandalo personale devastante in arrivo? E se sì, quali altre decisioni potrebbero essere state — o potrebbero essere in futuro — guidate dalla paura e non dalla ragione?
Non abbiamo risposte certe. Ma le domande restano.
Nel frattempo, il mondo trattiene il fiato. L’equilibrio tra le potenze è sempre più instabile, e la leadership americana appare meno coerente che mai. È forse tempo che l'opinione pubblica americana — e non solo — si interroghi non solo su ciò che Trump fa, ma su cosa o chi muove davvero la sua mano.
Perché la pace promessa è diventata guerra. Israele tiene gli USA al guinzaglio?
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