Educazione al collasso: l’Occidente ha distrutto i suoi figli
No, non è una crisi. È una catastrofe. E non riguarda solo la scuola. È una disintegrazione culturale, sociale, antropologica. Sta accadendo sotto i nostri occhi, e nessuno sembra avere il coraggio di nominarla per quello che è: il vuoto educativo dell’Occidente è un suicidio collettivo dell’intelligenza e della civiltà.
Italia, Francia, e molti altri paesi europei che si sono fatti vanto di essere “progressisti” e “moderni” hanno fatto da cavie inconsapevoli per un gigantesco esperimento sociale: demolire l’educazione in nome del nulla. Il risultato? Bambini che non parlano. Adolescenti che non sanno leggere. Diplomati incapaci di scrivere in italiano corretto o fare un calcolo mentale. Ragazzi senza memoria, senza parole, senza pensiero. Senza cuore e senza cervello.
Non sono numeri PISA: è il disastro quotidiano dentro le aule, nei corridoi, nei bar, nei tram, nei social.
Un’infanzia svuotata: il deserto prima della scuola
Attenti a chi parla di riforme e di scuola. Il crollo di cui parliamo inizia ben prima della scuola. I bambini non parlano perché nessuno parla con loro. Non ci sono fratelli, non ci sono cugini, non ci sono giochi collettivi, non ci sono litigi che insegnano a vivere. C’è solo lo schermo, il tablet, la televisione spenta sulla solitudine. Genitori e nonni incollati ai cellulari, madri e padri che si definiscono “presenti” ma sono assenti nei fatti, incapaci di trasmettere un racconto, un gioco, una preghiera, un ricordo, un’attesa.
Non si prega più, non si canta più. Non si litiga neanche più: il conflitto è stato rimosso come esperienza educativa. Tutto è anestetizzato. L’infanzia è parcheggiata, isolata, spersonalizzata. E la scuola si ritrova a raccogliere in prima elementare bambini che non hanno nulla, nessuna base, nessuna struttura, nessun ritmo. Persi prima di intraprendere il cammino.
La scuola è diventata una corsa a vuoto
E cosa fa la scuola? Invece di fermarsi e costruire fondamenta, corre. Corre verso un programma vuoto. Corre perché ha paura. Perché l’insegnante oggi è un burocrate con troppe carte, troppi alunni, troppi bisogni speciali e zero strumenti.
Una volta si scriveva, si leggeva, si ripeteva. Oggi si incolla. Fotocopie a raffica, didattica usa-e-getta, frasi già pronte da completare. Un tempo c’erano 15 alunni: oggi 25, 28, a volte 30. Un tempo si educava: oggi si sopravvive.
E quando questi ragazzi arrivano alle medie, e poi alle superiori, il danno è fatto. Gli insegnanti si trovano di fronte ragazzi che non sanno leggere, non sanno scrivere, non sanno stare zitti 5 minuti. Eppure dovrebbero analizzare Dante, risolvere equazioni, commentare Hegel. È come pretendere di fare trigonometria con chi non sa contare fino a dieci.
Il mondo adulto ha abbandonato la propria funzione
Ma dove sono gli adulti? Dove sono quei luoghi che educavano anche senza volerlo? La strada, la parrocchia, il cortile, il bar, l’oratorio: tutto cancellato. La socialità ridotta a contatto virtuale. Il corpo del bambino, la sua voce, i suoi silenzi: dimenticati.
Gli adulti hanno rinunciato a educare. Per paura, per comodità, per ideologia. Non si sgridano più i figli, non si dà un limite, non si impone una regola. Ogni autorità è diventata sospetta, ogni gerarchia un crimine. E allora ci si consola con l’idea che “basta che siano felici”, “basta che imparino l’inglese”. Ma felici di cosa, se non sanno nemmeno pensare?
La nuova servitù: l’analfabeta del XXI secolo
Tutto questo ha un costo. E non è solo culturale. È politico, sociale, economico. Il ragazzo che esce dalla scuola senza competenze non è libero: è perfettamente manipolabile. Non è un cittadino: è un consumatore. E infatti il mondo del lavoro – sempre più precario, sfruttato, digitalizzato – lo accoglie come servo perfetto.
Proprio come nell’Ottocento, quando un’Italia appena unificata lasciava i propri figli nelle mani dei padroni, oggi i giovani vengono offerti in pasto al neoliberismo globale. San Giovanni Bosco allora capì che serviva rifare tutto da capo: educazione, formazione, protezione, spiritualità. Oggi serve la stessa cosa. Ma chi lo farà?
Chi ha il coraggio di educare davvero?
Non si uscirà da questa catastrofe educativa con l’ennesima riforma, con un algoritmo più sofisticato o con l’eterna disputa tra pubblico e privato. Il vero problema è che non c’è più nessuno capace di stare davvero di fronte ai nostri giovani con qualcosa di vero da offrire. Hai voglia ad aprire scuole paritarie o parentali! E poi chi ci sta di fronte ai ragazzi?
Oggi,
2025, chi può educare davvero?
Lo
Stato, il
primo ad aver abdicato! Il primo ad aver rinunciato alle proprie
prerogative per dissolvere la nostra cultura nazionale in un mondo
liquido diretto da Bruxelles e Washington. Lo Stato? impantanato
nei suoi apparati burocratici?
Lo Stato a testa bassa di fronte a ogni ideologia nichilista?
La
Chiesa
di Zuppi,
afona e sempre
più
impaurita?
La Chiesa? Anch’essa sempre più open,
sempre più ecologista, immigrazionista, Lgbt? Sempre attenta a non
essere divisiva, a non offendere, a non urtare? E poi la Chiesa senza
più vocazioni, cosa può
fare?
Le
famiglie, disorientate e stanche?
Se non distrutte?
La
verità è che la crisi non è di forma,
ma di sostanza.
La sostanza della nostra civiltà oggi qual è? Il nichilismo più
buio.
Allora
non
si tratta di inventare nuove strategie, ma di riscoprire la vocazione
educativa come lavoro
umano, totale, radicale. La liquefazione culturale attraversa ogni
strato sociale, ogni ideologia, ogni fascia anagrafica. È un vuoto
che nessuno oggi sembra poter
colmare con la propria presenza.
E
allora la domanda resta sospesa, come una ferita aperta:
Chi
è
ancora disposto a implicarsi davvero nella crescita di un giovane?
Chi è ancora capace di trasmettere qualcosa di vero, di bello, di
giusto?
Dio
lo ha fatto (Gesù era anche un maestro), i santi lo hanno fatto
(come può
un italiano essere italiano senza conoscere Don Bosco?).
E noi, cosa faremo?
LUCA COSTA
PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo
Nessun commento:
Posta un commento