Alaska calling: al tavolo con Putin e Trump dovremmo esserci noi, non Zelensky
Mercoledì, in Alaska, Donald Trump e Vladimir Putin si incontreranno per discutere della guerra in Ucraina. I nostri media, mai così zelanti nel loro ruolo di megafono della NATO e di badanti dell’Unione Europea, continuano a ripetere come un rosario: “Deve esserci anche Zelensky!”. Per fare cosa? Per recitare il solito copione, chiedere altre armi, altri soldi e altre vite altrui?
Quello che nessuno in Europa vuole ammettere è che la NATO, negli ultimi trent’anni, ha avanzato come un bulldozer fino a ridosso della Russia, violando ogni impegno preso e trattando Mosca come un nemico da umiliare e accerchiare. L’UE, invece di fare da contrappeso diplomatico, ha scelto di essere la cameriera con il grembiule dell’Alleanza Atlantica, servendo guerre e sanzioni come fossero aperitivi.
Intanto, l’Ucraina non recupererà mai Crimea e Donbass. Quelle terre sono russe per storia, lingua e cultura molto più di quanto siano ucraine. Questa non è un’opinione: è un fatto storico che in Europa si preferisce ignorare, perché riconoscerlo significherebbe ammettere che tutta la retorica “fino alla vittoria ucraina” è una menzogna sanguinosa.
E
chi paga questa menzogna? Noi.
Non
Zelensky, che gira in felpa militare chiedendo miliardi come fossero
noccioline. Non Ursula von der Leyen, che firma assegni e pacchetti
di sanzioni incurante
delle conseguenze sui nostri carrelli della spesa e le nostre
bollette.
Non i nostri governi, che si riempiono la bocca di “solidarietà”
mentre
svuotano le nostre
tasche.
La
paghiamo noi:
-
Con le tasse, trasformate in missili e carri armati, di cui il
governo Meloni non ci dice né
il
numero né
il
modello.
-
Con i prezzi gonfiati da una grande distribuzione che ha colto la
“crisi
energetica”
come
scusa perfetta per far cassa.
-
Con carburante e riscaldamento diventati beni di lusso, mentre ci
ripetono che “dobbiamo
fare sacrifici per la libertà”.
-
Con un’inflazione
che ci sta rosicchiando i risparmi, mentre i banchieri di Bruxelles
si preoccupano più delle frontiere ucraine che dei conti correnti
europei.
E poi il colpo di genio: Mario Draghi, nel 2022, chiede se preferiamo la pace o il condizionatore. Una domanda truffaldina, perché nessuno ci ha mai dato la terza opzione: vivere. Vivere del nostro lavoro, con il pieno di diesel pagato a prezzo decente, l’aria fresca d’estate e il riscaldamento d’inverno.
Perché la verità è questa: a noi dell’Ucraina nella NATO non importa nulla. Quello che ci importa è che la guerra finisca. Perché non vogliamo continuare a pagare con il nostro tenore di vita una guerra per procura decisa altrove, combattuta da altri e vinta – comunque vada – solo da chi specula sul sangue.
Perciò,
mercoledì,
in Alaska, non dovrebbe esserci Zelensky.
Dovremmo
esserci noi: la classe media europea, derubata
e umiliata. Noi che abbiamo pagato la festa di altri, mentre i
padroni della NATO banchettano e l’UE
sparecchia i piatti. Noi che non vogliamo essere sudditi di
Washington, né
carne
da cannone per Kiev, né
spettatori
paganti di un disastro che non abbiamo scelto.
E forse, se ci fossimo noi, diremmo una cosa semplice a Zelensky e a Trump: “Basta”. E poi torneremmo a casa, a fare quello che l’Europa non vuol più lasciarci fare : vivere.
LUCA COSTA
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