martedì 8 luglio 2025

Ius cosa ?!?

 Ius scholae? Ius soli? Parliamone seriamente. Cosa vuol dire oggi essere italiani?

Nel dibattito sullo ius soli e sullo ius scholae, si continua a fingere che la posta in gioco sia puramente burocratica o umanitaria. Bambini nati o cresciuti in Italia, che parlano italiano, che frequentano le nostre scuole, che si dice — “sono già italiani”. Parliamone. Ma alla luce di un altro punto prospettico : quello culturale. Prima però, nominiamo apertamente la variabile che domina il presente dibattito sulla questione della cittadinanza, indipendentemente dallo ius da applicare.
La questione è la paura. Gli italiani hanno paura.

Paura che lItalia, sotto la superficie dei diritti civili, stia cambiando pelle, lingua, spirito. Paura che la nazione diventi qualcosa daltro, qualcosa che molti italiani spesso in silenzio, spesso da soli non riconoscono più.



Cittadinanza senza identità?

Lo ius soli è spesso presentato come un gesto di civiltà. Come la condizione necessaria e sufficiente dell’integrazione e, di conseguenza, di un futuro vivere insieme (il vivre ensemble, sostantivo e non verbo, come in Francia), armonioso e pacifico. Ma che valore ha la cittadinanza, se chi la riceve non eredita nulla della nostra cultura? Costumi, religione, abitudini, laicità, uguaglianza, etc. E quid se chi dovrebbe trasmettere quelleredità — Stato, scuola, cultura ha smesso di crederci per primo? In breve : a cosa (dove e come) dovrebbe integrarsi oggi un immigrato o un figlio di immigrati nato in Italia ?

In teoria, la scuola italiana dovrebbe essere il luogo in cui si diventa italiani. Ma oggi essa non forma italiani, li disfa. Disitalianizza, passatemi il termine. Non è certo colpa degli studenti stranieri, bensì di un sistema che ha rinunciato a trasmettere la storia, la lingua, la visione italiana del mondo. Si insegna invece a colpevolizzarsi, a disprezzare la tradizione, a ridicolizzare il patriottismo, a considerare la cultura italiana come un fastidio o, peggio, come un ostacolo al progresso”. E allora perché diventare italiani se a scuola si impara a vergognarsi di essere italiani? Meglio restare attaccati al cordone ombelicale delle proprie origini, magrebine, rumene, albanesi o poco importa quali.



La scuola come fabbrica di smarrimento

Andare a scuola in Italia, da una trentina d’anni, non significa più lavorare per diventare italiani e costruire un terriccio culturale comune sul quale radicare e costruire la propria vita. È diventare altro. È imparare a dire che Dante è omofobi, che il Risorgimento è una fandonia, che il cattolicesimo è oscurantismo, che la Resistenza è divisiva, che Pasolini va bene solo se filtrato attraverso il prisma arcobaleno, che Gramsci è il catenaccio di un mondo perduto e che patria è una parola che è meglio evitare.

La cultura italiana non viene più trasmessa: viene decostruita, relativizzata, delegittimata. Nel suo posto, un indistinto universalismopoliticamente corretto, fatto di vittimismi seriali, ideologie globaliste, e valori preconfezionati nei campus americani.



Italiani per nascita o per scelta ?

E allora la domanda vera è: cosa significa oggi essere italiani? Domanda chiave eppure nessuno, ma proprio nessuno, ha il coraggio di porla sul serio. Dire Italiain pubblico, oggi, è come bestemmiare. Ci si scusa, si aggiunge un asterisco, si modera. E se non si ha più il coraggio di affermarequesta è l’Italiache senso ha parlare di cittadinanza?

L’Italia non è una razza. Non è questione di sangue ma di appartenenza culturale. E nessuna legge, nessun articolo del codice civile, nessuna riforma parlamentare può fabbricare unappartenenza astratta, fluida, liquida, in laboratorio.
La cittadinanza senza identità è solo burocrazia. E oggi, di fatto, è questo che si vuole: una cittadinanza per tutti, ma vuota.



Chi ha paura del futuro?

Gli italiani hanno paura. Non tanto dello straniero in sé, ma del vuoto che li circonda e di chi e come un giorno potrà riempirlo questo vuoto. Riempirlo con contenuti che italiani non sono. Esempio : l’islam, con la sua visione della donna e la sua volontà di dominio sulle altre fedi, per esempio. L’Italiano non ha paura dell’islam in quanto religione, in quanto spiritualità. Anzi! ben venga chi ha una visione meno materialista e meno consumistica dell’uomo! L’Italiano teme l’imposizione dell’ortoprassia islamica, teme che il paesaggio pubblico diventi lo spazio della ritualità e dei costumi islamici (ramadan, veli, burqa, moschee, violenza, intolleranza). Perché se nessuno si vuole integrare davvero, se nessuno vuole più assimilarsi, allora ogni comunità resterà (cittadina o meno) quello che è, e la conseguenza è evidente: la demografia sarà la sola variabile che conta! Se provvista di cittadinanza, e quindi di diritto di voto attivo e passivo, la prima minoranza che diventerà numericamente maggioritaria imporrà i suoi costumi attraverso la legge. Facile come bere un bicchier d’acqua. Un precedente da portare come esempio? Semplice : il Libano.

Cos’è oggi l’Italia? Una piccola tessera insignificante nel puzzle dell’UE, quell’UE che non è altro che il negozio in franchising dell’impero americano. È un mercato. Solo un mercato. LItalia oggi è questo: una colonia mercantile, culturale e politica. Importiamo tutto: prodotti, idee, serie TV, parole inglesi, manodopera a basso costo, energia, presidenti del consiglio benedetti da Bruxelles. Siamo una colonia! E una colonia non ha più il diritto di tramandare la propria identità! I nostri padroni (USA) hanno deciso che la nostra identità nazionale deve sciogliersi, scomparire. Fine della Storia.

E allora che senso ha parlare di cittadinanza? Cittadinanza di cosa?

Se lItalia fosse ancora lItalia, se nelle scuole si insegnassero davvero Roma, i Gracchi e Cesare. Il cattolicesimo medievale, il Rinascimento bello e arrogante, il Risorgimento della speranza, e si studiassero Gramsci, Pasolini, Calvino, Don Bosco e Frassati! La Resistenza!

Se ci fosse ancora un progetto nazionale, italiano, da condividere, allora sì: lo ius soli potrebbe essere una grande speranza di fronte al calo demografico! Allora sì: si potrebbe dire che chi cresce qui, diventa uno di noi. Perché di fronte a una storia tanto luminosa, a una civiltà cosi ricca e fiera, ma chi non vorrebbe assimilarsi? Chi non vorrebbe diventare italiano avendo il privilegio di conoscere davvero le pietre preziose che costituiscono il codice genetico della nostra cultura? Chi non vorrebbe farle proprie?

Se la nostra cultura fosse davvero trasmessa con orgoglio, se la nostra lingua fosse ancora sacra, cosi come i nostri costumi, il nostro amore per la libertà della donna, il nostro orgoglio per la Resistenza più bella d’Europa, la nostra voglia di rivivere l’avventura dei Santi. Di conoscere e far conoscere Galileo, Marconi, Fermi. L’Italia è la luce del mondo, chi pretenderebbe (vivendo qui) di stare al buio? Chi avrebbe paura di condividere un tesoro inesauribile?

Ma oggi non è così. Stiamo bene attenti, cari i miei Tajani della malora. Non si tratta di discutere il cavillo burocratico che permetta di accedere a un passaporto.

Oggi si tratta di capire se esiste ancora unItalia a cui valga la pena appartenere.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



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