martedì 10 giugno 2025

La civiltà della non-violenza

 La nostra civiltà ostaggio della violenza selvaggia : que faire?

È accaduto di nuovo. In Francia, a Nogent-sur-Marne, una donna, sorvegliante di una scuola media, è stata accoltellata a morte da uno studente di 14 anni. Laggressore non era uno sconosciuto per listituto: già sospeso o forse espulso, ma comunque libero di colpire. Il gesto è stato improvviso, brutale, definitivo. Il coltello, nascosto nello zaino, forse in ceramica (invisibile per i metal detector che invocano tutti dopo la tragedia): la donna è morta.

Lo stesso giorno, in Austria, a Graz, un ex studente di 21 anni è entrato armato in un liceo e ha fatto fuoco su studenti e insegnanti. Dieci morti, dodici feriti. Poi si è tolto la vita nel bagno della scuola. Era legalmente in possesso delle armi. Anche lui era stato, un tempo, parte di quella comunità scolastica. Nessun allarme, nessun controllo, nessun segnale capace di fermarlo. Solo il massacro.

E allora ci chiediamo: cosaltro deve succedere perché l’Europa si svegli? Cosaltro devono sopportare i cittadini, le famiglie, i bambini, prima che le autorità smettano di rifugiarsi nelle frasi di circostanza, nei tweet, nelle misure simboliche? Macron si è detto sconvolto. Retailleau ha chiesto più controlli. Bayrou invoca tornelli e prevenzione. Lopposizione balbetta buonismo e indignazione a geometria variabile. Tutto prevedibile, tutto sterile. A chi è morto nessuno pensa.

La verità che nessuno vuole dire è semplice: abbiamo fallito. Abbiamo costruito una società dove la violenza, anche minorile, viene continuamente giustificata, normalizzata, minimizzata. Dove il violento è visto prima di tutto come una vittima del sistema, da accompagnare, comprendere, recuperare anche a scapito della sicurezza altrui. Abbiamo lasciato che la paura prendesse il posto del rispetto. Che il terrore dettasse le regole nei cortili, nei corridoi, sui mezzi pubblici. Abbiamo delegato alla retorica ciò che spettava alla responsabilità.

E allora diciamolo, finalmente, con chiarezza: chi è violento deve essere allontanato dagli altri. Subito. Non per punizione, ma per necessità. Per proteggere la comunità e per permettere a chi agisce con brutalità di confrontarsi, con serietà e rigore, con la propria deriva. La rieducazione è un dovere dello Stato. Ma prima della rieducazione viene la separazione. La tutela dei deboli. La salvaguardia dellinnocente.

Includere tutto e tutti, sempre e comunque, è una forma moderna di barbarie. Non c’è nulla di civile nel permettere a chi usa la forza di vivere impunito accanto ai più fragili. Non c’è nulla di progressista nellesporre i nostri figli alla minaccia quotidiana solo per non scontentare la sensibilità di chi inneggia allinclusione come fine in sé. La convivenza non può fondarsi sullindulgenza verso laggressore. Deve fondarsi sulla giustizia verso chi vuole vivere in pace.

Separare non è marchiare. È un atto di lucidità. Non si propone un ergastolo sociale, né un sistema di castigo perpetuo. Si propone un principio: prima si protegge, poi si educa, infine si reinserisce. In questordine. E solo a precise condizioni. Con verifiche. Con prove concrete. Perché non si tratta di scommettere: si tratta di vite umane.

Finché i violenti sapranno che non rischiano nulla, che la loro condotta verrà assorbita dal sistema come un disagio tra gli altri, continueranno a colpire. Le nostre scuole continueranno a sanguinare. Le nostre città diventeranno teatri di soprusi. E i cittadini, disarmati moralmente e fisicamente, si ritroveranno sempre più soli.

Abbiamo costruito una società dove chi aggredisce ha più diritti di chi subisce. Dove la legge tutela lintenzione, ma ignora lazione. Dove il trauma del colpevole pesa più della morte dellinnocente. Così non può durare.

È tempo di affermare un principio semplice e solido: chi non rispetta gli altri non ha diritto alla loro presenza. Chi rompe le regole della convivenza deve essere momentaneamente escluso da essa. E deve guadagnarsi, con il percorso, il ritorno. Se questo non accade, se non torniamo a esigere ordine e responsabilità, allora non siamo più una civiltà: siamo solo il campo di battaglia della sua lenta dissoluzione.

Allora apriamo centri di rieducazione, che accolgono i minori, fin dalla più tenera età, pubblici o privati che siano, a spese dei genitori assenti o dimissionari. Separare, rieducare, reinserire solo quando possibile. Altrimenti le chiacchiere stanno a zero, fino alla prossima strage.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



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