venerdì 30 maggio 2025

Sotto il giogo dell'alleato

 

Sotto il giogo dell’alleato: smontare la retorica filoamericana di Antonio Socci

L’articolo di Antonio Socci, “La guerra si avvicina sempre di più. La via della pace passa da Roma”, è un esempio lampante di come si possa distorcere la realtà geopolitica per adattarla a una narrazione filoamericana, ignorando le responsabilità storiche degli Stati Uniti e proponendo soluzioni che perpetuano l’egemonia americana in Europa.

Socci, che in passato ha sostenuto le guerre d’invasione americane in Afghanistan e in Iraq, ora si erge a paladino della pace, proponendo una soluzione che passa ancora una volta attraverso la politica estera americana. Questa posizione è intrinsecamente contraddittoria: come può la stessa potenza che ha alimentato conflitti in Medio Oriente e ha contribuito all’escalation in Ucraina essere vista come l’artefice della pace?

L’attuale crisi in Ucraina è il risultato di una lunga serie di provocazioni da parte degli Stati Uniti, tra cui l’espansione della NATO verso est e l’ingerenza nelle politiche interne di paesi sovrani. Come hanno sottolineato diversi analisti indipendenti, questa espansione è stata percepita dalla Russia come una minaccia diretta, contribuendo all’escalation del conflitto. Affidarsi nuovamente alla politica estera americana per risolvere questa crisi significa ignorare le lezioni del passato e perpetuare un ciclo di instabilità.

L’Europa ha agito troppo a lungo come una colonia americana, seguendo ciecamente le direttive di Washington anche quando queste andavano contro i propri interessi. La dipendenza energetica dalla Russia, ad esempio, è stata compromessa dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, causando gravi ripercussioni economiche per molti paesi europei. È tempo che l’Europa riconosca la necessità di una politica estera autonoma, che privilegi la cooperazione e il dialogo con la Russia, piuttosto che l’ostilità imposta da potenze esterne.

La vera via della pace non passa da Roma come intermediaria per conto degli Stati Uniti, ma attraverso un’Europa che afferma la propria autonomia e costruisce relazioni basate sul rispetto reciproco con la Russia. Solo liberandosi dall’influenza americana, l’Europa potrà perseguire una politica estera che favorisca la stabilità e la prosperità per tutti i suoi cittadini.

Occorre smontare anche il mito della “necessità” della protezione americana e dell’ombrello NATO. È una narrazione tossica, utile solo a chi vuole mantenere l’Europa in posizione subalterna. La NATO non ci difende da nulla. Non ci protegge da invasioni, non garantisce la pace, non serve alcun interesse europeo. La Russia, piaccia o no, non ha alcun interesse a invadere l’Europa occidentale: ha un interesse molto più semplice e concreto — venderci gas, petrolio e materie prime, e in cambio acquistare beni industriali, ingegneria avanzata, tecnologia e prodotti di consumo.

Questa è una dinamica win-win, naturale, storica, e basata su vantaggi reciproci. Una dinamica che gli Stati Uniti, invece, considerano intollerabile. Perché minaccia il loro ruolo egemonico nel continente. Per questo spingono per una guerra fredda perpetua tra Europa e Russia: per tagliarci fuori dall’energia a basso costo, per spezzare ogni ponte economico, per impedirci di essere competitivi.

La NATO, di fatto, serve a un solo scopo: mantenere la divisione del continente eurasiatico e fare dell’Europa un cliente fisso dell’industria bellica americana e del gas liquefatto USA — molto più caro, molto più inefficiente. È una zavorra, non un’alleanza. Ci trascina nei conflitti decisi a Washington, ci fa pagare le loro guerre, e ci costringe a rinunciare alla nostra autonomia politica ed economica.

Se la NATO non ci fosse, l’Europa avrebbe la possibilità — e la responsabilità — di riorientare la propria strategia militare verso le minacce reali: quelle che vengono non da Mosca, ma dal Mediterraneo. Le potenze emergenti del Nord Africa, destabilizzate da anni di guerre occidentali e ora alla ricerca di peso geopolitico, e la Turchia di Erdoğan, sempre più ambigua e aggressiva nei confronti dell’Europa, sono le vere forze che oggi contestano la nostra influenza nel Mare Nostrum. Questi attori hanno mire esplicite: sul controllo marittimo, sulle rotte migratorie, sull’energia offshore e sull’egemonia regionale.

Senza la NATO a vincolare le nostre risorse e a imporci nemici esterni inventati, potremmo concentrare le forze europee su un deterrente comune, costruito su interessi reali. Un’Europa finalmente autonoma potrebbe difendere i propri confini meridionali, garantire sicurezza nel Mediterraneo, proteggere le sue rotte commerciali e rafforzare la sua proiezione globale. Questo significherebbe essere finalmente adulti sul piano geopolitico, e non più vassalli di un impero in declino che gioca ancora a Risiko con i corpi e le economie degli altri.

Socci, Luttwak e tutta la galassia di nostalgici dell’egemonia americana continueranno a sognare una salvezza che viene da oltre Atlantico. Ma finiranno come sempre: cornuti e mazziati. E l’Europa, se non si sveglia, con loro.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo




martedì 27 maggio 2025

Quaderni rivoluzionari

 

Rivoluzione francese: cos’era davvero il Terzo Stato?

Chi rappresentava e difendeva gli interessi dei lavoratori? Complessità sociale e appropriazione politica alla vigilia della Rivoluzione francese

Questo articolo esamina la composizione interna del Terzo Stato francese alla vigilia della Rivoluzione del 1789, mettendo in evidenza la fondamentale distinzione tra la borghesia possidente e i lavoratori (operai, artigiani, contadini, piccoli commercianti). La principale classe lavoratrice erano i cosiddetti braccianti (brassiers), milioni di uomini e donne (spesso giovanissimi) che vivevano solo della forza delle proprie braccia. Attraverso lanalisi dei cahiers paroissiaux e dei cahiers de doléances, si mostrerà come le rivendicazioni popolari siano state prima strumentalizzate e poi rimosse da un’élite borghese desiderosa di controllare il processo rivoluzionario con l’obiettivo di prendere il potere. È impossibile comprendere la Rivoluzione francese conservando una visione omogenea del Terzo Stato, esso era attraversato da profonde contraddizioni sociali, delle quali la storia rivoluzionaria ha conservato le tracce.

1. Il Terzo Stato: un corpo sociale stratificato

La Rivoluzione francese viene spesso letta come un sollevamento unitario del Terzo Stato contro i privilegi dellAncien Régime. Tuttavia, fin dalla convocazione degli Stati Generali (5 luglio 1788), questo Tiers état si rivela come unentità estremamente eterogenea. Il Terzo Stato rappresentava circa il 98% della popolazione francese, ma ciò non implicava affatto che parlasse con una sola voce.

Due grandi componenti vi si contrapponevano: da un lato la borghesia d’affari: banchieri, avvocati, notai, industriali, grandi proprietari immobiliari, ricchissimi, spesso colti e desiderosi di esercitare un ruolo politico più rilevante; dallaltro, i lavoratori privi di proprietà: piccoli artigiani, contadini poveri, giornalieri, braccianti, che costituivano la maggioranza silenziosa, ma dotata di una forte coscienza delle proprie condizioni sociali e delle proprie istanze, grazie all’appoggio fondamentale del clero di campagna. Sì, i preti (lontano da Parigi e dalle curie) affermano con forza il diritto fondamentale dei lavoratori : vivere degnamente del proprio salario. Quando questo non è possibile, o si interviene per abbassare le tasse o si alzano i salari. Niente di più, niente di meno di quel si trova nelle (numerose e ricche) fonti a nostra disposizione.

Questa frattura socio-economica fu determinante nel modo in cui il Terzo Stato formulò le proprie rivendicazioni in occasione della convocazione degli Stati Generali. Per comprendere questa spaccatura, è necessario esaminare un corpus troppo poco studiato: i cahiers paroissiaux, i cahiers (quaderni) delle parrocchie (cellula politica fondamentale dell’Ancien régime) spesso redatti proprio dai curati di campagna, autentici portavoce del popolo.

2. Cahiers paroissiaux: lespressione diretta del popolo

A differenza dei celebri cahiers de doléances conservati agli Archivi Nazionali, i cahiers paroissiaux, primi documenti preparatori degli Stati Generali, venivano redatti durante le assemblee dei villaggi, con la partecipazione diretta e attiva degli abitanti.

Essi esprimono una sofferenza economica profonda: il caro-prezzi dei cereali, le imposte inique, le corvées feudali, le decime ecclesiastiche abusive, la parzialità della giustizia. I braccianti vi chiedono innanzitutto di poter comprare pane a sufficienza con il loro salario, una ripartizione fiscale più equa e lalleggerimento del carico tributario. Questi cahiers contengono anche una critica morale dellordine esistente, spesso espressa in termini religiosi o etici: la nobiltà è giudicata oziosa (e continuamente sconfitta sul campo di battaglia, vedi Guerra dei Sette Anni), il re ingannato dai suoi ministri, Dio invocato come giudice supremo dei poveri.

Non dimentichiamo che i curati di campagna erano anchessi figli del popolo. Purtroppo, pochissimi di questi preti di provincia parteciparono agli Stati Generali a Versailles nel 1789, dove i cahiers paroissiaux non arrivano mai. Perché?

3. Dai cahiers paroissiaux ai cahiers de doléances: il colpo di mano borghese

Tra i cahiers paroissiaux e i cahiers de doléances che furono presentati ufficialmente agli Stati Generali, si inserisce una fase cruciale: lelezione dei deputati del Terzo Stato e la selezione dei quaderni finali. Questo processo elettorale favoriva strutturalmente la borghesia: solo gli uomini con un certo livello di censo o notabilità potevano essere eletti, e i dibattiti furono monopolizzati dai notabili locali.

Il risultato è inequivocabile: i cahiers de doléances presentati a Versailles nel maggio 1789 sono dominati da un linguaggio più giuridico che sociale, da preoccupazioni di ordine costituzionale (libertà pubbliche, fiscalità, rappresentanza) e da rivendicazioni liberiste in campo economico (libero commercio all’estero dei cereali). L’idea di una monarchia costituzionale è onnipresente. Siamo lontani dalle richieste concrete dei contadini affamati dalle carestie del 1788 e dall’inflazione galoppante.

Questa sostituzione delle rivendicazioni popolari con un discorso ultra-liberale (e ben più inquinato ideologicamente) produsse una riconfigurazione del processo rivoluzionario sin dalle sue origini. Il movimento che si annunciava come liberatore ed emancipatore per tutti fu invece orientato verso una nuova distribuzione del potere tra nobiltà e borghesia, marginalizzando completamente gli interessi del popolo lavoratore. Ciò non avvenne in maniera inconscia, anzi, le élites finanziarie e industriali membri del Terzo Stato (ma anche del Primo) agitavano lo spauracchio delle rivendicazioni popolari di fronte a una borghesia assai preoccupata dai moti di insubordinazione del proletariato che scuotevano l’Europa da ormai dieci anni. E la borghesia fu abile, a Versailles, a far capire che solo un’alleanza dei possidenti e dei nuovi ricchi poteva tenere a bada la canaglia popolare. Altro che rivoluzione! Tutto doveva cambiare perché nulla cambiasse.

4. Una rivoluzione tradita: legittimazione e rimozione

Questo fenomeno non è secondario. Si inserisce in una dinamica più ampia di appropriazione politica. Una volta trasformati gli Stati Generali in Assemblée nationale, e poi in Assemblée constituante, le grandi figure della Rivoluzione (Sieyès, Barnave, Mirabeau) agiscono non in nome del popolo rurale o urbano, ma in quello della borghesia colta e possidente, desiderosa di rimpiazzare laristocrazia al controllo delle leve del potere. Il celebre pamphlet di Sieyès, Quest-ce que le Tiers-État?, è emblematico: parla di un Terzo Stato laborioso, utile, meritevole, ma si riferisce solo ai ceti industriali e finanziari, non certo a contadini e operai.

Le riforme che seguiranno tra il 1789 e il 1791, beneficiarono solo i possidenti. Non dimentichiamo la legge del 14 giugno 1791 (la Loi Le Chapelier) che vieterà ogni associazione di lavoratori. I contadini e gli operai rimasero a bocca asciutta. Solo con la radicalizzazione del 1793, sotto la spinta di Robespierre, alcune delle loro rivendicazioni furono accolte, ma solo temporaneamente, prima di essere nuovamente marginalizzate sotto il Direttorio di Barras e infine umiliate dal Consolato di Bonaparte.

5. Conclusione: Una rivoluzione incompiuta per i lavoratori

L’analisi incrociata tra cahiers paroissiaux e cahiers de doléances mette in luce una verità spesso sottaciuta: la Rivoluzione francese fu, fin dalle sue origini, attraversata da un conflitto di classe interno al Terzo Stato. Sotto lapparente unità nazionale, si cela una frattura strutturale tra due componenti del popolo: la borghesia, desiderosa di potere, e i lavoratori manuali, portatori di istanze di giustizia sociale.

Questa frattura riemergerà costantemente nel corso della Rivoluzione, nei conflitti tra Girondini e Giacobini, tra sans-culottes e termidoriani, tra rivendicazioni sociali e calcoli politici borghesi. Essa rappresenta una chiave di lettura imprescindibile per comprendere come e perché la Rivoluzione, pur operando una trasformazione profonda dellordine politico e giuridico, abbia lasciato intatte molte diseguaglianze economiche e strutturali.

Lungi dal discreditare la Rivoluzione, questa lettura ne rivela tutta la complessità: essa ci ricorda che ogni movimento popolare è segnato da rapporti di forza, e che la voce del popolo è buona solo in fase di propaganda.

È importante anche ricordare come in Francia, in un capitolo cosi scottante della storia europea, gli unici che si schierarono apertamente con il popolo e per il popolo, furono i curati di campagna.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



domenica 25 maggio 2025

Russia, Ucraina, Occidente

La guerra in Ucraina: una responsabilità occidentale, non russa

1. La "linea rossa": l'Ucraina e la sicurezza strategica russa

Dal punto di vista di Mosca, l'Ucraina rappresenta una questione di sopravvivenza geopolitica. Già nel 2007, Vladimir Putin avvertì alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza che l'espansione della NATO verso est rappresentava una minaccia inaccettabile per la Russia. Nel 2008, al vertice di Bucarest, la NATO dichiarò che Ucraina e Georgia sarebbero entrate nell'Alleanza. Per la Russia, questo era un punto di non ritorno. Lo spettro di basi NATO, radar, sistemi antimissile e truppe straniere a poche centinaia di chilometri da Mosca era ed è inaccettabile.

2. Il colpo di Stato del 2014 e le sue conseguenze

Il cosiddetto "Euromaidan" fu il punto di svolta. La rimozione violenta, sostenuta dall'Occidente, del presidente legittimamente eletto Viktor Yanukovych colpevole solo di essere filo-russo fu percepita da Mosca come un colpo di Stato orchestrato. Subito dopo, scoppiò la rivolta nel Donbass e la Russia si annetté la Crimea, in un'operazione condotta senza spargimenti di sangue e con l'appoggio della popolazione locale. Da quel momento in poi, l'Ucraina si è progressivamente trasformata in un proxy dell'Occidente contro la Russia.

3. Le esercitazioni NATO del 2021: provocazione deliberata

Nel 2021, l'Ucraina ospitò almeno tre grandi esercitazioni militari congiunte con la NATO, tra cui "Cossack Mace", "Rapid Trident" e "Sea Breeze". Tutte si svolsero nel sud-est del Paese, in prossimità del Donbass e del confine russo. Questi eventi furono percepiti da Mosca come una prova generale di aggressione, o quantomeno una dimostrazione di forza in un'area altamente sensibile. La cooperazione militare tra Ucraina e NATO era già ad altissimi livelli, con la presenza di consiglieri, armi e strutture occidentali in territorio ucraino.

4. La responsabilità del governo ucraino

Il governo di Kiev ha giocato un ruolo attivo nell'escalation, scegliendo deliberatamente una strada di confronto invece che di neutralità. Ha rifiutato ogni ipotesi di neutralità armata o di stato cuscinetto, alimentando l'illusione che l'Occidente sarebbe intervenuto direttamente in caso di invasione. Inoltre, ha perseguito politiche identitarie anti-russe, marginalizzando la lingua e la cultura russa, contribuendo alla radicalizzazione del conflitto interno.

5. Il doppio standard occidentale

Se la Russia avesse organizzato esercitazioni militari a Cuba o in Messico con l'esercito cinese, gli Stati Uniti avrebbero tollerato una simile situazione? La risposta è ovvia: no. Lo dimostra la crisi dei missili di Cuba del 1962, quando gli USA erano pronti a scatenare una guerra nucleare per una minaccia ben più remota di quella che la Russia percepisce oggi in Ucraina. Ciò che Washington non tollera per sé stessa, lo pretende per gli altri.

6. Conclusione: comprendere, non giustificare

Questa guerra non è nata nel febbraio 2022, ma è il risultato di anni di scelte irresponsabili da parte dell'Occidente, che ha spinto un Paese profondamente diviso come l'Ucraina in una posizione insostenibile. A pagare il prezzo più alto sono stati e sono gli ucraini, usati come pedine in un gioco di potenza che si sarebbe potuto evitare. La responsabilità storica ricade su chi ha alimentato il fuoco, non su chi ha reagito a un accerchiamento annunciato e crescente.


Luca Costa

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



giovedì 22 maggio 2025

Italia: stipendi da fame

 ITALIA, IL PAESE DOVE LAVORARE È UN LUSSO E SOPRAVVIVERE È UN MIRACOLO

In Italia, nel 2025, un lavoratore può spaccarsi la schiena 40 ore alla settimana e portare a casa 1.040 euro netti al mese. Sì, hai letto bene: 1.040 euro. È questo lo 'stipendio' (chiamiamolo elemosina) previsto per un neoassunto dell'agroalimentare, settore primario, fondamento dell’economia reale. Un lavoro spesso fisico, duro, continuo, che vale meno di un affitto in qualsiasi città italiana. Ma qui il merito ce l’hanno solo gli evasori, i furbi e chi sfrutta.

⚖️ FRANCIA E GERMANIA HANNO UN SALARIO MINIMO GENERALE. NOI? UNA GIUNGLA CONTRATTUALE

Francia (2025): 1.398 € netti al mese – salario minimo nazionale, uguale per tutti.
Germania: 1.509 € netti al mese, anche questo uguale per tutti.
In Italia? No, qui non abbiamo un salario minimo legale. Abbiamo 900 contratti collettivi diversi, ognuno con le sue tabelle, i suoi livelli, i suoi cavilli. Il risultato? Un infermiere può guadagnare 1.400 euro netti dopo anni di esperienza. Un insegnante 1.500 euro netti. Un operaio specializzato della metalmeccanica 1.300 euro netti. E i giovani? Trattati come carne da discount.

E poi la politica e la TV osano dire:
“I giovani non vogliono lavorare.”
“Ci serve manodopera dall’estero.”
Ma quale lavoro? A queste condizioni non è lavoro, è sottomissione.

💸 L’inflazione corre, i salari stanno fermi

Inflazione 2022: +8,1%
Inflazione 2023: +5,7%
Aumenti salariali? Quasi nulli.
I salari reali (cioè quelli con cui mangi e paghi l'affitto)? In calo dal 1990.
Nel 2024, la retribuzione media netta mensile è inferiore a quella del 2008, mentre mutui, affitti, spesa alimentare, bollette e carburante sono esplosi.

🏦 Lo Stato? Lava le mani, finanzia la guerra, e ci lascia nell'indigenza

Miliardi per armi, fondi per interessi di casta, superbonus per immobili di lusso, ma per aumentare gli stipendi non c’è mai un euro. La proposta di introdurre un salario minimo nazionale a 9 euro l’ora è stata affossata come “troppo rigida”. Troppo rigida? Per chi? Per chi guadagna 18.000 euro al mese in Parlamento?

👮‍♂️ 👩‍🏫 👨‍⚕️ Gli ultimi difensori dello Stato: poveri in divisa

Un agente delle forze dell’ordine guadagna in media 1.400 euro netti al mese.
Un docente di ruolo con 10 anni di servizio: 1.500–1.600 euro netti.
Un infermiere ospedaliero: 1.450 euro netti.
E poi ci chiediamo perché scappano tutti all’estero. Perché in Germania, Olanda, Svezia, gli stessi ruoli partono da 2.500 euro netti.

🤬 Una rabbia legittima. Altro che “bamboccioni” o “choosy”

Siamo il Paese dei working poor. Un Paese in cui:
- 3 milioni di persone lavorano ma sono sotto la soglia di povertà.
- 1 giovane su 3 lavora a termine o con part-time forzato.
- Il 25% dei contratti collettivi è firmato da sigle sindacali fantasma.
- 1,7 milioni di famiglie vivono senza reddito da lavoro.
E ci chiediamo perché i ragazzi non vogliono fare figli. Non riescono nemmeno a pagare un affitto.

✊ Se questa non è una guerra ai lavoratori, allora cos'è?

È tempo di dire la verità: in Italia il lavoro dipendente è trattato come un problema. Un peso da tassare, da spremere, da dimenticare. Ma chi costruisce ponti, cura anziani, forma bambini, tiene in piedi i supermercati, garantisce l’ordine pubblico?
Senza di loro il Paese muore.

🔚 Chi non si incazza oggi, è complice.

Questo non è un articolo.
È un grido.
Una sirena.
Un insulto alla logica che continua a restare senza risposta.
O si cambia, o si affonda.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo






domenica 18 maggio 2025

Chi ha cambiato la fede?

 Chi ha cambiato la fede?” – Riflessione critica sulla dichiarazione di Putin sul Filioque e lo scisma tra Oriente e Occidente

La dichiarazione

In una recente intervista pubblica, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che i cattolici hanno cambiato la fede mille anni fa, riferendosi allaggiunta del Filioque al Credo niceno-costantinopolitano. La frase, pur pronunciata in un contesto politico-ideologico, si inserisce in una lunga tradizione di retorica religiosa ortodossa che accusa la Chiesa cattolica di aver deviato dalla fede apostolica.

Ma questa affermazione è storicamente riduttiva, teologicamente debole, e ecclesiologimente problematica.

1. Il contesto storico dello scisma

La separazione tra la Chiesa di Roma e le Chiese dOriente, nota come Scisma dOriente, ha una data simbolica (1054), ma è in realtà il risultato di secoli di incomprensioni, divergenze culturali, tensioni politiche e dispute ecclesiologiche.

Le cause principali includono:
- Il primato del vescovo di Roma
- Differenze liturgiche e teologiche
- Linserimento del Filioque nel Credo occidentale senza un concilio ecumenico condiviso

Ma ridurre tutta la rottura al Filioque è una semplificazione ideologica che ignora la complessità delle dinamiche storiche e teologiche.

2. Il Filioque: un problema teologico, non un cambiamento di fede

L’aggiunta del Filioque nel Credo occidentale ha suscitato tensioni legittime, ma accusare i cattolici di aver cambiato la fede è scorretto.

a) La dottrina trinitaria non è stata alterata
- Il Filioque non nega la monarchia del Padre.
- Padri della Chiesa greca parlano dello Spirito che procede attraverso il Figlio”.

b) Il problema era disciplinare, non dogmatico
- Linserimento unilaterale nel Credo è stato un errore procedurale.
- Giovanni Paolo II ha proposto di recitare il Credo senza il Filioque nei contesti ecumenici.

In sintesi: il Filioque non ha cambiato la fede, ma ha creato una divergenza di formulazione su una verità comune.

3. La cattolicità è indivisibile: anche lOriente ha una responsabilità

Nel Credo si professa la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Separarsi da Roma significa perdere la piena visibilità dellunità cattolica, pur conservando lortodossia.

La fedeltà alla Tradizione non giustifica la rottura della comunione. Difendere lidentità non autorizza ad accusare di eresia chi condivide lo stesso battesimo, gli stessi sacramenti e la stessa Scrittura.

4. Oggi: più apertura da parte cattolica che ortodossa

La Chiesa cattolica riconosce pienamente i sacramenti delle Chiese ortodosse e permette, in certi casi, la comunione agli ortodossi.

Le Chiese ortodosse in genere non fanno lo stesso con i cattolici. Questa asimmetria mostra che la Chiesa cattolica ha fatto passi sinceri verso lunità, mentre alcune voci ortodosse continuano a usare un linguaggio esclusivo e polemico.

Conclusione

La frase di Putin è storicamente imprecisa, teologicamente infondata e ecclesialmente divisiva.

Lo scisma del 1054 fu una tragedia reciproca. La fede cattolica non era stata alterata. Chi chiude le porte alla comunione e si erge a giudice assoluto della purezza della fede, rischia di smentire il Vangelo stesso.

Se la Chiesa è “una, santa, cattolica e apostolica, allora lunità visibile è una vocazione da perseguire, non un optional da scartare in nome dellidentità nazionale.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



venerdì 16 maggio 2025

Fuga dei cervelli, arrivo dei borselli

 

Flat Tax e Fuga dei Cervelli: il paese dei balocchi (per ricchi stranieri)


Mentre i giovani italiani fanno la fila a Stansted col trolley sgangherato per un futuro dignitoso tra un pub di Camden Town e un call center a Dublino, i super-ricchi del pianeta fanno le valigie... ma in direzione opposta. Non scappano da Londra, ma verso l’Italia. E non certo per amore del Belpaese, del mandolino o di Sanremo. La ragione? Una cosuccia chiamata flat tax: 100 mila euro secchi all’anno e puoi parcheggiare yacht, cravatte in cachemire e fortune offshore sotto il sole di Capri.

Lo racconta, con tono trionfante, Il Giornale, che sembra aver scambiato l’Italia per un’attrazione fiscale stile Dubai col parmigiano. “Bye bye Londra”, titola con entusiasmo, dimenticandosi però di aggiungere che i nuovi inquilini delle nostre colline toscane non portano scuole, ospedali o contratti stabili, ma solo ville ristrutturate e bollicine a Cortina.

Il contrasto è stridente con il Rapporto italiani nel mondo di Migrantes, riportato da Avvenire, che racconta tutt’altra Italia: quella che espelle, che costringe a emigrare i suoi giovani migliori, spremuti da stipendi da fame, contratti a termine e zero prospettive. L’Italia che forma medici, ingegneri, ricercatori... per regalarli a Berlino o Melbourne.

Siamo diventati un Paese dove si entra se sei ricco e si scappa se sei competente. Chi ha i milioni è accolto con tappeti rossi e agevolazioni fiscali da repubblica caraibica; chi ha un curriculum viene spedito all’estero con una stretta di mano e un “fatti valere”.

Sarà pure vero che “i paperoni traslocano in Italia”, come titola il rotocalco turbo-mondialista (copyright Fusaro), ma qui i cervelli continuano a traslocare all’estero. Il saldo è tragico. Una nazione che accoglie il lusso e manda via il merito.

A questo punto, forse, dovremmo aggiornare lo slogan turistico: “Italia: vieni per evadere (legalmente), scappa se vuoi lavorare.”

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo





lunedì 12 maggio 2025

Vergogna israeliana

 

Gaza, la vergogna che ci riguarda: le parole del cardinale Pizzaballa e di Papa Leone XIV come specchio della nostra coscienza

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Oggi, 12 maggio 2025, assistiamo impotenti a una tragedia che lacera la nostra coscienza collettiva. La Striscia di Gaza è devastata da mesi di bombardamenti, privazioni e sofferenze indicibili. Le dichiarazioni del governo israeliano, che parlano apertamente di deportazione, distruzione e pulizia etnica, non possono lasciarci indifferenti. Questa situazione ci interroga profondamente come civiltà occidentale, mettendo in discussione i valori di umanità e giustizia che professiamo.

In questo contesto, le parole del cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, risuonano con forza e chiarezza. Pur non essendo stato eletto Papa, la sua voce si erge come guida morale per credenti e non credenti. Durante una visita pastorale a Gaza, ha dichiarato:
"Gaza
è distrutta, tutto è distrutto, ma non gli abitanti, non sono in ginocchio, sono vivi, per me questo è un segno di speranza."
Parole che ci ricordano che, nonostante la devastazione, la dignità e la speranza umana persistono.

Il cardinale ha anche espresso sgomento per la morte di civili affamati nel tentativo di ottenere aiuti umanitari, sottolineando la necessità di soluzioni coordinate per evitare ulteriori tragedie. Ha ribadito che:
"I continui pesanti bombardamenti che da giorni martellano Gaza causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore."
Queste dichiarazioni ci costringono a riflettere sul nostro ruolo e sulla nostra responsabilità. La sofferenza di Gaza è una vergogna che ci riguarda direttamente. È tempo di agire, di alzare la voce, di esigere giustizia e di lavorare per la pace.

A confermare e rafforzare questo appello è intervenuta anche la voce del nuovo Papa, Leone XIV. Le sue prime parole da Pontefice, pronunciate pochi secondi dopo la proclamazione, sono state semplici ma colme di significato:
"Che la pace sia con tutti voi."
È
da lì che ha scelto di cominciare: dalla pace. Non una pace diplomatica o strategica, ma la pace dei cuori, la pace di Cristo.

Come ha lasciato intendere con forza, quella pace non è semplicemente il contrario della guerra: è il contrario dellodio. E finché l’odio sarà il linguaggio dominante, lorrore continuerà. Fermarlo richiede una scelta spirituale e culturale radicale.

Il suo messaggio interpella anche i leader politici, senza possibilità di ambiguità: devono smettere di pensare solo a se stessi, alle proprie carriere e fortune. Serve responsabilità. Serve il coraggio di vedere laltro non come un potenziale nemico, non come un possibile membro di Hamas, ma come un figlio di Dio, come noi.

Questa visione deve guidarci anche nei nostri quartieri, nelle nostre città. In Europa e specialmente, ahinoi, in Francia si è tornati a dare la caccia agli ebrei per strada. È l’odio che vince, è la vergogna che ritorna. Gaza oggi non è più solo un luogo, ma un tragico giro di boa nella storia dellumanità. E se non troviamo ora le forze culturali e spirituali per fermare questo scempio, nessuna civiltà potrà più dirsi tale.

Nel cristianesimo queste forze ci sono. Pizzaballa e Papa Leone XIV ce lo hanno ricordato. Con coraggio, con chiarezza. Ma qualcuno li ascolterà?

Noi non vogliamo che il male prevalga. Non vogliamo più provare vergogna ogni volta che accendiamo un notiziario.

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Luca Costa

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



Israele contro i Cristiani

 Cisgiordania: Israele contro i cristiani Nel cuore della Cisgiordania, a pochi chilometri da Ramallah, sorge Taybeh, l’ultimo villaggio ...