Agobardo
(779 ca – 840) fu arcivescovo di Lione durante il regno
dell’imperatore Ludovico il Pio e fu anche un intellettuale di
vasta cultura per quell’epoca, autore di opere didascaliche e
dottrinali che testimoniano di una appassionata partecipazione ai
temi di discussione del suo tempo. Abbiamo una biografia di Agobardo
negli Acta
Sanctorum
anche se non ci sono notizie precise circa la sua canonizzazione,
comunque la tradizione popolare lo ricorda come Sant’Agobardo di
Lione e la sua festa è fissata il 6 giugno. Le opere di Agobardo
sono state pubblicate nei Monumenta
Germaniae Historica,
nella Patrologia
Latina
e nel Corpus
Christianorum Continuatio Mediaevalis.
Spiccano
fra le sue opere i cinque scritti antisemiti di cui si propone la
traduzione italiana in questa pubblicazione. Le
opere in questione riportano le ben note obiezioni dottrinali che la
pubblicistica cristiana opponeva all’Ebraismo. Tuttavia in Agobardo
emerge una particolare acrimonia verso il “popolo eletto”
derivante anche da contingenze di cui lui stesso ha fatto esperienza.
In particolare questi scritti aprono un sorprendente spaccato di
storia sociale del IX secolo. Com’è noto il Cristianesimo ha
abolito la schiavitù, almeno per i battezzati, ma la scomparsa della
schiavitù è stata lenta e alquanto differenziata nel tempo e nello
spazio. Sappiamo che per tutto il medioevo si è fatto commercio di
schiavi: in generale le religioni monoteiste proibivano di fare
schiavo un correligionario, ma abbiamo testimonianza del fatto che i
mercanti di schiavi ebrei vendevano anche i fedeli della loro stessa
religione: Agobardo riferisce il caso di una donna ebrea schiava di
ebrei che chiede il battesimo. Il grosso degli schiavi nell’Europa
continentale era costituito dai “pagani” (“ethnici”
nel testo latino). Per “pagani” si devono intendere tutte le
popolazioni che non appartenevano ad una delle tre religioni
monoteiste, si trattava soprattutto delle popolazioni slave che a
quell’epoca non erano ancora cristianizzate. Il problema che
angosciava Agobardo era di offrire la possibilità del battesimo, e
quindi della libertà, agli schiavi che chiedevano di entrare nella
comunità cristiana. Da quanto ci racconta l’arcivescovo di Lione
il commercio di schiavi gestito da mercanti ebrei era fiorente e
talvolta la “merce” era costituita da bambini rapiti dalle
famiglie e portati lontano, soprattutto in Spagna dove evidentemente
le autorità musulmane rendevano più facile il commercio di esseri
umani.
Il
quadro che ci descrive Agobardo è quello di una comunità ebraica
molto vicina agli ambienti del potere e che attirava la
frequentazione dei cristiani non solo per motivi commerciali ma anche
culturali. Agobardo parla di una figura che definisce “magister
Judaeorum”,
si tratta di un funzionario imperiale che aveva il compito di fare da
referente dell’autorità imperiale presso gli ebrei che vivevano
nei confini dell’Impero; questa espressione nella presente
traduzione è stata resa con “intermediario della comunità
ebraica”.
I
testi sono stati disposti a partire dal più antico secondo il
probabile ordine cronologico che gli studiosi hanno stabilito e che
si collocherebbe negli anni 823-828.
Gli
scritti antisemiti di Agobardo costituiscono un’importante pietra
miliare nella storia della questione ebraica, tanto più per un’epoca
come quella altomedievale così avara di documentazione.
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