sabato 7 giugno 2025

Il fallimento del calcio italiano

 L’Unione Europea sta distruggendo il nostro calcio. E noi restiamo in silenzio.

3-0.
Italia umiliata in Norvegia.
Siamo arrivati a questo : rischiamo di non qualificarci al Mondiale dell’anno prossimo. Dopo due Mondiali mancati, rischiamo ancora di rimanere a casa.
La Gazzetta fa i meme, i commentatori parlano del CT, Zazzaroni dice che "la crisi non ha soluzioni".

Ma non è vero. È una menzogna.

La crisi ha una causa precisa e una soluzione possibile.
Solo che nessuno ha il coraggio di nominarla.

La verità è che in Serie A non gioca più nessun italiano.
E la verità ancora più grande è che non ci è permesso cambiare questa realtà, perché siamo prigionieri di un sistema giuridico europeo che mette la libera circolazione prima di tutto, anche prima della sopravvivenza culturale e sportiva dei popoli.

Nessuno in campo. Nessuno da convocare.

È inutile girarci attorno.
Quando un CT chiunque sia deve scegliere ventitré giocatori e si ritrova con quattro portieri titolari italiani e mezzo difensore centrale, non è sfortuna. È suicidio sistemico.

La Serie A oggi è straniera all80%, in certe giornate si giocano partite intere senza un solo italiano in campo.
E non è che siano tutti fenomeni. Sono stranieri mediocri, normalissimi, presi solo perché più comodi da gestire, più convenienti da piazzare, più manipolabili da certi procuratori. E apparentemente meno costosi (apparentemente).

Allora uno si chiede: ma perché non possiamo cambiare le regole?
Perché non si può dire: "almeno 6 italiani in campo per squadra"?

Eh, ma lUnione Europea…”

E lì parte la favola.
Il vincolo, lostacolo, la scusa: la Corte di Giustizia dellUnione Europea non lo permette.

Dal famoso caso Bosman in poi, ci hanno spiegato che non si possono fare distinzioni in base alla cittadinanza.
Che un calciatore spagnolo, lituano, o bulgaro ha gli stessi diritti di un italiano in Italia.
Che tutto ciò che conta è la libera circolazione del lavoro.

Ma davvero stiamo mettendo sullo stesso piano il ruolo di un centravanti nella Serie A italiana e un lavoratore interinale in unimpresa metalmeccanica?
Davvero pensiamo che una Nazionale di calcio non sia un'espressione culturale, sociale, identitaria da proteggere come patrimonio comune?

Ma quindi la Corte europea è competente in materia calcistica?

Ecco laltra domanda. E la risposta è tanto semplice quanto paradossale:
, perché il calcio è trattato come un semplice mercato del lavoro”.

È un concetto che fa quasi ridere per quanto è ottuso.
Come se il valore della maglia azzurra fosse un affare contrattuale.
Come se il sistema calcio fosse identico a quello del trasporto merci.

Ma non è così. Non può esserlo. Non deve esserlo.

Il calcio è formazione, selezione, rappresentanza.
Una Nazionale è espressione della crescita sportiva interna di un Paese, non una squadra commerciale.

Ma allora perché, in altri settori, la cittadinanza conta?

Eppure, eppure.
Ci sono ruoli pubblici, professioni, ambiti in cui la cittadinanza è richiesta eccome.
Vuoi fare il preside di un liceo in Francia? Devi essere francese.
Vuoi lavorare per lo Stato tedesco? Devi essere cittadino tedesco.
Vuoi entrare in polizia o in magistratura? Devi avere la nazionalità del Paese.

E allora perché nel calcio no?
Perché nel calcio ogni forma di preferenza nazionale è trattata come discriminazione?

La risposta è atroce: perché nessuno ha mai avuto il coraggio di opporsi.

Tutti zitti. Tutti complici.

L'UE non ci ha imposto tutto questo con un decreto armato.
Siamo noi ad aver accettato tutto.
La nostra classe dirigente calcistica dai vertici FIGC ai presidenti di Lega non ha mai osato nemmeno provarci.

Mai una richiesta di deroga.
Mai una proposta per proteggere la Nazionale come bene culturale.
Mai una battaglia vera, nemmeno simbolica.

Solo passività, conformismo, autodistruzione lenta.

E intanto altri Paesi si difendono. Noi no.

Ci sono Paesi fuori dallUE (in Europa e in altri continenti) che limitano il numero di stranieri, eccome se lo limitano.
Ci sono campionati che impongono quote minime di giocatori locali.
Loro possono, noi no.
Loro hanno un calcio protetto, nazionale, radicato.
Noi abbiamo un calcio colonizzato, svuotato, indifferente.

E la cosa più ridicola è che noi accettiamo questa disparità senza nemmeno protestare.
Allinterno della stessa UEFA, esistono due velocità:

  • Paesi liberi di tutelare il proprio calcio,

  • e noi, paesi membri dellUE, bloccati dal dogma della concorrenza.

La Serie A è diventata un supermercato di passaporti

Abbiamo ridotto il nostro campionato a un esercizio di speculazione.
I settori giovanili sono morti.
Gli italiani sono fuori squadra già a 19 anni.
E quando manca il Mondiale, ci sorprendiamo?

Questa non è sfortuna.
È
scelta politica, giuridica, economica.
È
la mancanza totale di volontà di difendere unidentità sportiva nazionale.


La verità? La nostra classe dirigente ha venduto il calcio italiano

La cosa più grave è che la colpa non è nemmeno tutta dellEuropa.
Il problema vero siamo noi, i nostri vertici, la nostra paura di combattere.
Il calcio italiano è stato svenduto a interessi economici, clientelari, elettorali.
È
in mano a dirigenti polverosi, baroni inadeguati, funzionari di se stessi.

E intorno, una stampa sportiva ormai asservita al teatrino.
La Gazzetta dello Sport non è più un giornale: è un rotocalco rosa per click e sponsorizzazioni. Dove si tacciono i problemi del nostro calcio e si applaudono scempi calcistici come l’ingaggio di Allegri da parte del Milan, o quello di Modric che ha 40 anni, o la cessione di Reijnders (per una volta che c’era uno straniero forte!).
Le trasmissioni televisive sono cabaret.
Nessuno ha più il coraggio di dire le cose come stanno.

La soluzione esiste. E va imposta.

Basta con la scusa che non si può fare”.
Se vogliamo salvare il calcio italiano, servono scelte forti e nette:

  • Proporre una norma che imponga un numero minimo di italiani in campo, e portare la questione fino in fondo, anche davanti alla Corte UE, anche rischiando.

  • Far riconoscere la Nazionale e i vivai come beni culturali strategici da proteggere.

  • Sostituire tutta la classe dirigente calcistica italiana con figure competenti, indipendenti e libere da conflitti.

  • Smettere di chiedere il permesso a Bruxelles per difendere noi stessi.

Conclusione: o combattiamo, o ci spegniamo

Chi oggi dice che non ci sono soluzioni(come Ivan Zazzaroni) è parte del problema.
Chi non ha il coraggio di sfidare le regole europee, non difende il calcio italiano.

La crisi della Nazionale non è un mistero. È il riflesso diretto di un Paese che ha smesso di credere in sé stesso, anche nel calcio.
Ma si può ancora cambiare.
A patto di alzare la voce. A patto di dire la verità.

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



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