sabato 29 marzo 2025

Va' dove ti porta il bonifico...

Da Manzoni a Benigni : parlare al popolo, piacere ai potenti (che pagano)

Roberto Benigni e Alessandro Manzoni. Due nomi distanti nel tempo, ma concediamoci un’azzardatissima acrobazia retorica per cercare a unirli con un sottile filo rosso: la capacità di muoversi abilmente nel panorama culturale e politico, sempre con un occhio attento a chi detiene il potere. Se il comico toscano si è recentemente guadagnato la scena (oltre a bel un milione di euro) elogiando lUnione Europea mentre i venti di guerra soffiavano e i governi acceleravano la corsa agli armamenti, Manzoni nel XIX secolo fece più o meno altrettanto, scegliendo con grande attenzione (al portafogli) i suoi bersagli e i suoi silenzi. Ma andiamo con ordine.

Benigni e la Retorica a Pagamento

Roberto Benigni un tempo era il giullare irriverente, comico che non temeva di sbeffeggiare i potenti, capace di emozionare e far riflettere. Ma poi (forse da quella bandiera americana che sventolava liberando campi di concentramento immaginari) qualcosa è cambiato. Negli ultimi anni, lo abbiamo visto sempre più spesso abbracciare cause che fanno comodo allestablishment (Risorgimento, Costituzione), senza il minimo accenno di critica o di spirito sovversivo. Il culmine è arrivato con il suo monologo sullUnione Europea, una celebrazione sfarzosa e pomposa, pagata a peso doro, che suonava più come una pubblicità istituzionale che come un sincero slancio di idealismo.

Mentre Ursula vuole obbligarci ad aumentare le spese militari, mentre la propaganda bellica diventa sempre più sfacciata e i cittadini vengono chiamati a fare nuovi immondi sacrifici, Benigni si presta a unoperazione di maquillage culturale, confezionando un'ode allEuropa che ignora completamente le sue contraddizioni, le sue ingiustizie, i suoi fallimenti. Un intellettuale che si mette al servizio del potere, che vende la propria voce per un bonifico certamente appetitoso (eccome!) ma assai puzzolente.

Non stupiamoci però, non scandalizziamoci! Non è una novità. Moltissimi artisti nella storia d’Italia, e non solo, si sono prestati al redditizio gioco del suonare la musica dei potenti. Chi? Manzoni, al suo tempo, fece la stessa scelta.

Manzoni e gli Ambienti Filo-francesi

Manzoni non era affatto quel che si potrebbe definire un osservatore neutrale del suo tempo. Cresciuto in un ambiente aristocratico e colto, frequentò circoli intellettuali apertamente filo-francesi, influenzati dal pensiero illuminista e dall’epopea napoleonica. Sua madre, Giulia Beccaria, era legata a salotti progressisti e liberali, e lo stesso Manzoni beneficiò delloccupazione napoleonica in Italia, che gli garantì un’educazione cosmopolita e la possibilità di avvicinarsi alle idee rivoluzionarie.

Non è un caso che, dopo la caduta di Napoleone, Manzoni abbia mantenuto legami con coloro che avevano collaborato con l’occupante francese, evitando accuratamente di criticarlo nei suoi scritti. Se la dominazione spagnola veniva allora rappresentata nei Promessi Sposi come oscura e oppressiva, il periodo napoleonico ben più recente e sanguinoso per lItalia veniva così taciuto. Criticare Napoleone e i suoi sostenitori avrebbe significato alienarsi il favore dei circoli milanesi, pieni di ex funzionari napoleonici. Una borghesia che aveva tratto vantaggi dall’invasione francese, così devastante e insopportabile per il popolo italiano. Manzoni, da abile opportunista, sapeva bene da che parte stare.

La Falsa Narrazione della Dominazione Spagnola

Ne I Promessi Sposi, Manzoni dipinge unepoca buia, governata da una Spagna imperialista e prepotente, dove la Lombardia soffre sotto il giogo di un potere corrotto e inefficiente. Il messaggio è chiaro: la dominazione spagnola ha portato solo miseria e soprusi, canaglie ottuse e inette, e il popolo è stato solo la vittima delle loro nefandezze.

Ma quanto c’è di vero in questa visione? Studi storici recenti, sia spagnoli che italiani, mettono in discussione questa leggenda nera. Certo, nessuno afferma che la Lombardia sotto gli spagnoli fosse un paradiso terrestre, ma la realtà è molto più sfumata di come ce la racconta Manzoni. Gli spagnoli portarono una certa stabilità dopo le devastanti Guerre d’Italia del Cinquecento, difesero il territorio da saccheggi protestanti (che altrove in Europa spazzarono via una percentuale spaventosa di opere d’arte dal valore inestimabile) e contribuirono alla conservazione e alla fioritura del patrimonio artistico e culturale lombardo. Oggi, la densità di siti UNESCO nella regione è tra le più alte al mondo, e molto di ciò che vediamo lo dobbiamo in parte anche alla lungimiranza degli amministratori spagnoli. Amministratori che non erano poi né così sprovveduti, né così barbari, è forse improprio parlare di “dominazione”, studi futuri e inevitabili pubblicazioni sull’argomento porteranno presto alla luce una realtà spagnola ben più umana di quanto traspare dai Promessi Sposi.

Allora perché Manzoni scelse di raccontare una storia tanto negativa? La risposta è più politica che letteraria. Nel XIX secolo, il nazionalismo italiano aveva bisogno di nemici: gli austriaci erano i nemici ereditari più odiati del tempo, ma attaccarli direttamente sarebbe stato, forse, troppo rischioso. Meglio allora spostare lattenzione su un periodo storico abbastanza lontano da evitare ritorsioni dirette, ma abbastanza vicino da alimentare la narrativa della lotta contro loppressione straniera. E chi meglio degli spagnoli, ormai fuori dai giochi, per incarnare il male assoluto?

Perché non Napoleone?

Ma, per chi conosce la storia almeno, c’è un grande assente nel romanzo manzoniano: Napoleone. Se Manzoni avesse voluto davvero dipingere un’epoca di violenza e soprusi, avrebbe avuto gioco facile a scegliere loccupazione napoleonica, con i suoi saccheggi, le sue devastazioni e le sue politiche predatorie nei confronti dellItalia.

Era avvenuto solo dieci anni prima! E quanto la popolazione aveva sofferto, quanti morti, quante deportazioni, quante razzie, quanto dolore, a causa della vergognosa invasione francese!

Ma Napoleone, allepoca in cui Manzoni scriveva, era ancora ben visto dai salotti buoni del Nord Italia, pieni di ex-collaboratori bonapartisti e simpatizzanti del progetto francese. Criticare la Spagna del Seicento era comodo, era facile, criticare la Francia dellOttocento sarebbe stato un suicidio letterario, ed economico…

Il Paragone con Benigni

E qui il parallelo con Benigni diventa inevitabile. Il comico, che un tempo si dilettava a sbertucciare i potenti, oggi si presta volentieri a celebrazioni retoriche che fanno comodo allestablishment. Perché? Perché è più sicuro, perché paga, perché è così che si resta nel giro. Manzoni, a suo modo, fece lo stesso: scelse il bersaglio più facile e funzionale alla narrativa dominante, costruendo unopera che, pur essendo un capitolo fondamentale della nostra storia letteraria è anche un esercizio di prudenza politica.



Conclusione

Manzoni non è stato solo il grande scrittore che ci viene insegnato a scuola. È stato anche un fine stratega della cultura, capace di navigare con astuzia tra le correnti del suo tempo. Il suo romanzo non è solo un capolavoro (questo è indubbio) ma anche un manifesto politico attentamente calibrato per non pestare i piedi sbagliati. E così, da Benigni a Manzoni, il passo è breve: chissenfrega degli spagnoli, a chi importa del popolo dissanguato da Napoleone…va’ dove ti porta il bonifico!

LUCA COSTA

PONTE ARCOBALENO: LUCA COSTA: una voce del pensiero alternativo



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