24 Marzo 1999: La NATO Bombarda la Serbia – Menzogne e Giustizia a Orologeria
Il 24 marzo 1999 segna una delle pagine più oscure della storia europea contemporanea. Quel giorno, senza alcuna autorizzazione dell’ONU e con un pretesto costruito su menzogne, la NATO scatenò la sua brutale campagna di bombardamenti contro la Serbia e il Montenegro, allora parte della Repubblica Federale di Jugoslavia. Per 78 giorni, le forze della NATO, guidate dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, martellarono Belgrado e altre città serbe, uccidendo civili, distruggendo infrastrutture essenziali e avviando la mutilazione di un Paese sovrano con il chiaro obiettivo di strappargli il Kosovo.
Le Menzogne per la Guerra
L’intervento della NATO venne giustificato con la presunta “pulizia etnica” compiuta dai serbi contro gli albanesi del Kosovo, dipingendo la leadership di Belgrado come un regime genocida. Il nome chiave era quello di Slobodan Milošević, demonizzato dai media occidentali come un nuovo Hitler. I giornali e le televisioni mainstream, dal New York Times alla BBC, ripetevano senza alcuna verifica le dichiarazioni dei governi occidentali e dei loro apparati di intelligence, amplificando le voci di massacri mai provati.
Il punto culminante della propaganda fu il presunto “massacro di Račak” del gennaio 1999, dove vennero presentati come civili albanesi massacrati quelli che erano in realtà combattenti dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo), gruppo paramilitare che Washington aveva prima inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche e poi trasformato in alleato strategico. La strage di Račak divenne la “pistola fumante” per scatenare la guerra, nonostante numerose fonti indipendenti abbiano poi smontato questa narrazione.
I Bombardamenti: Crimini di Guerra Dimenticati
L’operazione “Allied Force” si tradusse in un’aggressione militare a tappeto contro la Serbia, con oltre 38.000 sortite aeree e 10.000 raid di bombardamento. Vennero colpiti ospedali, ponti, treni, scuole, la sede della televisione RTS (dove morirono 16 giornalisti), oltre all’ambasciata cinese a Belgrado, attacco mai adeguatamente spiegato. La NATO usò anche munizioni all’uranio impoverito, lasciando in eredità un aumento di tumori e malformazioni nei Balcani.
L’obiettivo, mascherato da una supposta “missione umanitaria”, era in realtà geopolitico: smantellare l’ultimo baluardo di indipendenza nei Balcani e trasformare il Kosovo in una base militare strategica. Non a caso, pochi anni dopo, gli USA installarono Camp Bondsteel, una delle loro più grandi basi in Europa, proprio in Kosovo.
La Giustizia a Orologeria e le Assoluzioni Postume
Mentre la Serbia veniva demonizzata e massacrata, il Tribunale dell’Aia (ICTY), istituito dagli stessi poteri che avevano voluto la guerra, avviava processi spettacolari contro i leader serbi. Milošević, catturato nel 2001 dopo un colpo di Stato pilotato dall’Occidente, morì in carcere nel 2006 prima della sentenza. Più tardi, nel 2016, il Tribunale stesso ammise che non vi erano prove dirette della sua responsabilità nei crimini in Bosnia e Croazia. Ma ormai l’accusa aveva fatto il suo lavoro: delegittimarlo per giustificare la distruzione della Jugoslavia.
Un altro caso clamoroso fu quello di Radovan Karadžić e Ratko Mladić, condannati con prove discutibili mentre le atrocità dell’UCK venivano sistematicamente ignorate. Solo nel 2017 il tribunale dell’Aia assolse Vojislav Šešelj, leader nazionalista serbo, dopo 11 anni di detenzione preventiva, ammettendo che non vi erano prove di un piano di pulizia etnica. Ma la narrativa occidentale era ormai consolidata: i serbi erano i cattivi assoluti.
Conclusione: Una Ferita Ancora Aperta
L’aggressione del 1999 non ha portato pace o stabilità, ma ha solo sancito il dominio della NATO nei Balcani. Il Kosovo è oggi un narco-Stato governato da ex combattenti dell’UCK, mentre la Serbia continua a essere sotto pressione affinché riconosca l’indipendenza di Pristina. Ma la memoria di quel marzo 1999 non è svanita: Belgrado non ha dimenticato chi l’ha bombardata in nome di una menzogna.
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