lunedì 27 gennaio 2025

Riformiamo la giustizia

La giustizia italiana: tra ideologia, buonismo e l’urgenza di una vera riforma


Dal terremoto dello scandalo Mani Pulite (di cui forse un giorno conosceremo e comprenderemo l’epicentro), la giustizia italiana attraversa una crisi profonda, segnata da lentezza e inefficienza, politicizzazione e protagonismo esasperato dei giudici, nonché da una crescente sfiducia dei cittadini nei confronti del sistema giudiziario. Il problema non è solo formale, strutturale, ma anche culturale: troppe sentenze appaiono ideologicamente inquinate, lontane dal senso comune e dalla volontà del popolo italiano. Nonostante le promesse di cambiamento, le riforme in atto si limitano a relativi e bizantini tecnicismi, lasciando irrisolti i nodi fondamentali: chi controlla la magistratura, chi ne definisce l’agenda e come restituire credibilità al sistema? Al cuore del dibattito c’è una questione chiave: la giustizia deve essere amministrata in nome del popolo italiano, come sancisce la Costituzione, o continuare a rispondere alle logiche interne di un CSM sempre autoreferenziale e spaventosamente orientato a sinistra? Che dire, inoltre, della sottomissione dei giudici a ideologie (puntualmente sconfessate dagli italiani a ogni elezione) che trasfigurano la legge nelle aule dei tribunali?


Il fallimento delle riforme: sempre il dito, mai la luna 

Le riforme che si susseguono, a partire da quella Cartabia fino a quelle attualmente in discussione, si concentrano su dettagli tecnici o su aggiustamenti marginali, evitando accuratamente di mettere mano al cuore del problema. Si parla di separazione delle carriere, di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), di modifiche procedurali per accelerare i processi. Tutte questioni importanti, certo, ma nessuna di queste tocca la vera radice del problema: a chi rendono conto i magistrati ? Il CSM, nato per garantire l'autonomia della magistratura, si è trasformato nel tempo in un organismo dominato da correnti interne che funzionano come veri e propri Politburo. Nomine, promozioni, trasferimenti: tutto è gestito attraverso un sistema opaco indifferente a ogni criterio di merito. È qui che si gioca il destino della giustizia italiana, eppure nessuna riforma ha mai osato mettere in discussione il potere assoluto del CSM, nemmeno dopo il Caso Palamara. La riforma Cartabia, ad esempio, si è limitata a proporre modifiche al sistema elettorale del CSM senza affrontare il problema del peso eccessivo del CSM nel quadro dell’ordinamento italiano.


Giustizia: in nome di chi?

L’Italia è piena di casi che alimentano la percezione di una magistratura scollegata dal Paese reale. Alcune decisioni sembrano dettate più dal clima ideologico del momento che dall'applicazione imparziale della legge. In un tale contesto, il cittadino comune fatica a fidarsi del sistema giudiziario, percepito come lontano, inefficiente e troppo schierato politicamente. È qui che si pone la domanda cruciale: a chi risponde la magistratura? Il parlamento risponde al popolo, attraverso le elezioni. Il governo risponde al parlamento, che lo può sfiduciare. Ma la magistratura, almeno in Italia, sembra rispondere solo a sé stessa. È vero, l’indipendenza del potere giudiziario è un pilastro dello Stato di diritto, ma indipendenza non può significare assenza di controllo o autoreferenzialità. La giustizia deve essere amministrata in nome del popolo italiano, non secondo l’agenda ideologica di chi controlla il CSM.


La soluzione: riformare alla radice il sistema giudiziario

Per restituire credibilità e autorevolezza alla giustizia italiana, servono interventi radicali che non si limitino a riforme cosmetiche.

1. Avanzamento basato su concorsi trasparenti

Le carriere dei magistrati devono essere decise attraverso concorsi interni basati su criteri oggettivi: competenza, esperienza, risultati concreti. Non ci può più essere spazio per logiche di appartenenza a questa o quella corrente.

2. Riduzione del potere delle correnti

Le correnti della magistratura, nate come associazioni culturali, si sono trasformate in veri e propri partiti politici interni. Per spezzare questo sistema, si potrebbe introdurre il sorteggio per la nomina di una parte dei membri del CSM o prevedere criteri più stringenti per le decisioni sulle carriere.

3. Maggiore trasparenza

Tutte le decisioni del CSM – nomine, trasferimenti, promozioni – devono essere pubbliche e motivate. I cittadini hanno il diritto di sapere come vengono scelti i giudici e i pubblici ministeri che amministrano la giustizia in loro nome.

4. Riconnettere la magistratura al popolo La magistratura non può essere un potere totalmente scollegato dal resto del Paese. Serve un sistema di controllo che garantisca responsabilità senza compromettere l’indipendenza. Ad esempio, valutazioni periodiche più severe e una reale responsabilità disciplinare per i magistrati.


Sentenze inquinate: l’ideologia al posto della giustizia

Uno dei problemi più gravi del sistema giudiziario italiano è l’inquinamento ideologico delle decisioni. Il politicamente corretto è diventato il metro di interpretazione, sostituendosi spesso al testo e allo spirito della legge, nonché al buon senso più elementare. Accade troppo spesso che: - Reati gravi, come violenze di strada o aggressioni, vengano sanzionati con pene irrisorie o misure alternative, in nome di un malinteso principio di “recupero del reo”. - Delitti violenti contro le donne o commessi da stranieri vengano affrontati con una cautela ideologica che sembra privilegiare la tutela dell’imputato rispetto alla sicurezza delle vittime. - Si scelga di assecondare il clima culturale del momento, piuttosto che applicare in modo rigoroso il principio di proporzionalità tra reato e pena. Questo fenomeno si innesta su una visione ereditata dagli anni ’70, quando la giustizia veniva concepita come uno strumento per “rieducare” più che per punire, riducendo progressivamente la certezza della pena. Oggi questa impostazione appare del tutto inadeguata di fronte all’ondata di violenza selvaggia portata dall’aumento dei reati di strada e dalla pressione migratoria, che ha introdotto nuove dinamiche di criminalità urbana. Da notare che, in tal senso, le novità introdotte dalla Cartabia sono addirittura controproducenti, dal momento che le misure alternative alla detenzione sono state estese invece che ridotte o limitate.


Cosa avrebbe dovuto fare un governo di destra?

Di fronte a questa situazione, ci si sarebbe aspettati da un governo di destra una riforma profonda della giustizia. Non solo quella amministrativa o organizzativa, ma soprattutto una revisione dei codici penali e di procedura penale, per restituire credibilità al sistema e affrontare con decisione le nuove sfide della sicurezza. Ecco cosa i cittadini avrebbero voluto vedere: 1. Certezza della pena L’attuale sistema, incentrato su pene sospese, misure alternative e sconti di pena, non è più sostenibile. Serve un codice penale che garantisca che chi commette un reato grave paghi realmente per il suo gesto, senza facili scorciatoie. 2. Inasprimento delle pene per i reati violenti La risposta penale attuale è palesemente insufficiente di fronte all’aumento dei reati violenti. Le violenze contro le donne, gli stupri, le rapine e le aggressioni in strada devono essere puniti con pene esemplari, senza attenuanti ideologiche. 3. Maggiore severità contro la violenza di strada e i reati legati alla criminalità migrante La sicurezza dei cittadini deve tornare al centro della giustizia. È evidente che l’aumento della criminalità legata a contesti migratori richiede una risposta forte e determinata, che oggi manca del tutto. 4. Semplificazione delle procedure La lunghezza dei processi e la burocrazia infinita scoraggiano le vittime dal denunciare e rendono il sistema inefficace. Una riforma seria dovrebbe snellire i procedimenti, garantendo tempi rapidi e certezza dell’esito.


Le riforme attuali: un’occasione mancata

Le riforme in discussione, come quelle recenti, sembrano limitarsi a dettagli tecnici o ad aggiustamenti marginali. Si parla di separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, di modifiche al sistema elettorale del CSM, di procedure per velocizzare i processi. Tutte misure utili, ma insufficienti a risolvere il problema centrale: la giustizia italiana è troppo condizionata dalle correnti interne e da un’ideologia buonista che non riflette più le esigenze della società. I cittadini non chiedono di smantellare l’indipendenza della magistratura, ma di garantire un sistema trasparente, meritocratico e realmente al servizio della legge e del popolo. Un sistema che metta fine al controllo delle correnti e alle decisioni influenzate da mode ideologiche.


Conclusione: il fallimento di una promessa

Un governo che si presenta come rappresentante della destra non può accontentarsi di riforme di facciata. Gli italiani si aspettano un cambiamento profondo, che riporti la giustizia dalla parte delle vittime, della legalità e della sicurezza. La riforma del codice penale e del codice di procedura penale non è più rinviabile, così come non è più accettabile una giustizia condizionata da logiche politiche o culturalmente inquinate. Se questa occasione sarà mancata, si continuerà a tradire il principio fondamentale della nostra Costituzione: che la giustizia sia amministrata in nome del popolo italiano. Perché questo popolo, sempre più esasperato dall’insicurezza e dall’ingiustizia, non può più tollerare un sistema che sembra rispondere a tutto, tranne che al buon senso e alla legge.


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