L’ideologia
dell’antirazzismo è il vero e proprio oppio dei popoli: questa
potente droga viene furbescamente utilizzata dalla classe dirigente
“democratica” per distrarre l’opinione pubblica dai problemi
più pressanti e per far ingollare alla società civile il nuovo
ordine mondiale che si concretizza in una surreale società
“multirazziale” che nei fatti assume inevitabilmente i caratteri
di una società multirazzista e multicriminale. “Lotta alle
discriminazioni” è un’espressione che ha un effetto lisergico
sulla personalità debole, frammentata e facilmente impressionabile
dell’uomo contemporaneo, ormai regredito allo stadio infantile e
disposto a credere alle favole più inverosimili.
Il mondo della Tradizione era
invece fondato su un sentimento forte delle identità di razza, di
casta e di religione: per capire questi aspetti di storia della
mentalità è utilissimo il libro di Frithjof Schuon Caste
e razze, che
l’autore pubblicò in francese nel 1957. Schuon fu uno dei più
qualificati studiosi di storia delle religioni, che egli interpretava
alla luce della philosophia
perennis, mettendo
in luce le analogie fra culture distanti nel tempo e nello spazio.
Caste e razze
è un testo di grande attualità, che ha anticipato di decenni le
concezioni differenzialiste oggi diffuse nel dibattito culturale.
La trattazione di Schuon si
apre con la definizione dell’istituto delle caste, che trova la sua
giustificazione nella differenziazione dei tipi umani con la
conseguente diversità di attitudini e di qualificazioni.
Nell’Induismo il sistema delle caste ha conosciuto la sua
applicazione più rigida basata sul principio di ereditarietà della
casta, mentre nell’Ebraismo e nell’Islam le caste sono assenti,
poiché in queste culture ha prevalso la considerazione ugualitaria
secondo la quale tutti gli uomini sono stati creati a immagine e
somiglianza di Dio. Fra queste due concezioni c’è l’Europa
cristiana medievale nella quale la società era divisa in caste ma in
modo abbastanza flessibile: la casta sacerdotale era vocazionale e la
casta guerriera poteva accogliere elementi delle caste dei lavoratori
attraverso processi di nobilitazione, e in questo modo poteva
verificarsi l’eventualità che un contadino diventasse papa e
consacrasse l’imperatore. Ma gli appartenenti alle caste, anche
alle più umili, avevano ciascuno una propria dignità e delle
qualità specifiche che ne determinavano la funzione sociale. Le
antiche società gerarchizzate creavano anche spazi per individui
senza attitudini particolari, dalla psicologia caotica e poco
definita e quindi portati alla trasgressione: per proteggere l’ordine
sociale dalla contaminazione di questi elementi si formavano i gruppi
dei “fuori casta” e degli “intoccabili” nel mondo induista,
oppure degli ebrei e degli zingari nel mondo occidentale. La
mentalità moderna, fondata su concezioni ugualitarie derivate da
grossolane e improbabili ideologie materialiste, e particolarmente
avversa al principio di ereditarietà, ritiene inaccettabile dividere
l’umanità in caste. Ma le caste antiche, come si è visto, avevano
una funzione sociale che equilibrava le attitudini umane, mentre il
materialismo moderno ha trasformato gli elementi mediocri in classe
dirigente e di fatto ha ribaltato il senso delle caste, assegnando a
incapaci e parassiti prerogative e privilegi del tutto
ingiustificati, e determinando le disfunzioni sociali che
caratterizzano il mondo contemporaneo. Nell’antichità e nel
medioevo gli uomini avevano una chiara coscienza del senso del limite
ed erano consapevoli dei rischi che l’umanità correva se lasciava
spazio alle forze demoniache che si collocavano al di fuori
dell’orizzonte del sacro. Nel mondo moderno, invece, la
meccanizzazione e la tecnologizzazione dell’economia hanno creato
la massa dei “proletari”, che non corrisponde a una casta
naturale ma a una collettività quantitativa.
Per rendere conto delle
assurdità di cui è responsabile, la cultura moderna è riuscita
perfino a dare una sovrastruttura pseudoreligiosa alle sue concezioni
“umanitarie”. L’umanitarismo, infatti, ritiene che la totalità
degli esseri umani sia il Dio personale: una concezione che degrada
il divino al livello umano, mentre nella concezione tradizionale è
l’umano che si sforza di elevarsi verso il divino. Da questa idea
del sacro deriva una carità equivoca che salva i corpi ma uccide le
anime; i difetti delle persone sono attribuiti a condizioni materiali
sfavorevoli, quindi le coscienze vengono deresponsabilizzate, poiché
i comportamenti devianti e criminali sono accettati e incoraggiati
sulla base delle spiegazioni “sociologiche” che tanto successo
riscuotono nella cultura contemporanea. Il terzomondismo, poi, è
riuscito a elaborare concetti a dir poco fuorvianti sull’idea di
“benessere”. La nozione di “paese sottosviluppato”, nella sua
candida perfidia, è ispirata a una concezione rozzamente
materialista della vita: per i progressisti la felicità consiste in
uno sviluppo tecnologico destinato a distruggere molti elementi di
bellezza, e dunque di benessere, mentre ci si dimentica che esistono
atrocità sul piano spirituale, e di queste atrocità è satura la
cultura umanitarista dei moderni. In nome dell’umanitarismo le
vocazioni vengono calpestate e le persone di genio vengono umiliate
in una scuola il cui scopo non è più quello di selezionare i
migliori, ma quello di omologare le intelligenze nella mediocrità
imperante.
Schuon fa notare che il
livellamento moderno e democratico è agli antipodi
dell’ugualitarismo religioso: l’uguaglianza delle religioni
monoteiste, infatti, si fonda sul teomorfismo dell’uomo, mentre
l’uguaglianza democratica prende a modello l’animalità. Nella
concezione religiosa della vita, gli uomini sono tenuti a vedere nel
prossimo l’immagine di Dio e a trattarsi come dei santi “virtuali”:
in questo senso anche i più umili assumono un contegno
aristocratico. La modernità, invece, elevando il progresso a
ideologia, ha preso la ricchezza a metro di giudizio di tutte le
cose, considerando la povertà come una sorta di maledizione e
creando odiose forme di esclusione sociale assai più rigide di
quelle messe in atto dal sistema delle caste. In modo analogo le
ideologie moderne hanno preteso di annullare le differenze fra uomo e
donna, distruggendo la famiglia naturale e creando lo scenario di
disgregazione sociale che la modernità ci ha messo sotto gli occhi.
Passando a trattare il tema
delle razze, Schuon mette subito in chiaro che la casta prevale sulla
razza, poiché la razza è una forma, mentre la casta è uno spirito,
e lo spirito prevale sulla forma. Sarebbe però assurdo pensare che
le differenze razziali non implichino diversità di attitudini e di
atteggiamenti: se è giusto respingere sentimenti di odio ispirati a
motivi razziali, è altrettanto giusto respingere un antirazzismo
pregiudiziale che pretende di uniformare tutte le diversità, con
l’evidente scopo di offrire al potere dei tecnocrati mondialisti
una massa di cittadini-schiavi incapaci di pensiero critico.
Schuon analizza i tre
principali gruppi razziali in cui si divide l’umanità, Bianchi,
Neri, Gialli, che egli assimila agli elementi naturali: il Bianco al
cielo, il Nero alla terra, il Giallo all’acqua. Ognuna di queste
razze ha dato vita a organizzazioni sociali ispirate alle rispettive
caratteristiche, e all’interno di questi grandi gruppi ci sono
ulteriori differenziazioni, dovute a fattori culturali e storici che
hanno segnato le varie civiltà. In particolare, all’interno della
cultura bianca ci sono sempre stati momenti di confronto, e talvolta
di conflitto, fra culture nordiche e culture mediterranee, nonché
fra mentalità pagana e mentalità cristiana, fra messianismo
monoteista e avatarismo ariano.
Schuon, inoltre, rimarca
l’importante distinzione fra popoli e stati: infatti il popolo non
sempre coincide con lo stato, anzi nel mondo moderno sempre più
spesso diversi popoli vivono all’interno dello stesso territorio, e
proprio per questo oggi è tanto più importante che i gruppi etnici
acquisiscano una chiara coscienza della loro identità. Le mescolanze
razziali, infatti, se da una parte possono arieggiare un ambiente
troppo chiuso, d’altra parte rischiano di far scomparire gruppi
umani dalle qualità preziose: il modello della società
multirazziale, oltre a essere un palese fallimento sul piano della
coesione sociale, rappresenta un impoverimento delle culture umane,
che dovrebbero arricchirsi nel confronto fra le differenze, anziché
annullarsi reciprocamente nell’omologazione globale. Schuon
conclude il libro con una considerazione che sintetizza efficacemente
il senso della questione razziale al di là di ogni forzatura
ideologica: «le qualità che rendono amabile un certo essere umano,
rendono nello stesso tempo amabile il genio della sua razza…l’uomo
di un’altra razza è come un aspetto dimenticato di noi stessi, e
dunque uno specchio ritrovato di Dio».
***
Frithjof Schuon, Caste
e razze, SE 2019

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