Bettino Craxi: La Commemorazione di un Gigante della Politica Italiana e il Tradimento della Nostra Sovranità
Il 19 gennaio 2000 si spegneva ad Hammamet Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano e figura centrale della politica italiana degli anni '80. Venticinque anni dopo la sua morte, il giudizio sulla sua parabola politica e umana resta complesso, ma è impossibile ignorare il peso storico di un uomo che ha segnato un'epoca e che, con coraggio e determinazione, difese la sovranità nazionale e la dignità dell’Italia contro le ingerenze esterne. Craxi, primo presidente del Consiglio socialista nella storia della Repubblica, governò dal 1983 al 1987, gli anni d’oro della cosiddetta “Milano da bere”, ma anche un periodo di profondi cambiamenti per il Paese. Durante il suo mandato, l’Italia vide una crescita economica significativa, un ruolo più rilevante nella politica internazionale e una rinnovata centralità nell’ambito delle istituzioni europee. La sua visione modernizzatrice e il suo pragmatismo gli permisero di ottenere risultati che oggi sembrano irraggiungibili da una classe politica asservita agli interessi della tecnocrazia UE e dell’imperialismo USA e, ahinoi, priva di spina dorsale.
Sigonella: La Resistenza di uno Statista
Il momento più alto della carriera politica di Craxi, e forse il più significativo per comprendere la sua visione di sovranità nazionale, fu il celebre caso della Crisi di Sigonella, nell’ottobre del 1985. Quando il leader palestinese Abu Abbas divenne preda degli Stati Uniti dopo il dirottamento della nave Achille Lauro, Craxi rifiutò categoricamente di cedere alle pressioni americane per consegnarlo. In una mossa che ha pochi eguali nella storia contemporanea italiana, il presidente del Consiglio mise l’interesse e la dignità del Paese davanti a tutto, ordinando ai nostri soldati di circondare i soldati americani e impedire loro di portare via Abbas dal nostro suolo. Fu uno schiaffo morale per gli Stati Uniti, oltre che una lezione di politica estera, una dimostrazione di forza e autonomia che nessun altro leader italiano, prima o dopo di lui, ha mai osato replicare. In quel momento, Craxi non difese solo Abbas: difese il principio che l’Italia non era una colonia né un Paese subalterno. L’audacia e la fermezza resero Craxi (e Andreotti) un bersaglio agli occhi di Washington e della CIA, che da quel momento iniziarono a guardare con crescente fastidio al leader socialista.
L’Inizio della Fine: Una Caduta Pianificata?
Non è un mistero che la fine della Prima Repubblica, e con essa la caduta di Craxi, sia stata agevolata da dinamiche che andavano ben oltre le indagini di Mani Pulite. La lotta alla corruzione, sacrosanta e necessaria, fu trasformata in un’arma politica, uno strumento per disintegrare un’intera classe dirigente e aprire le porte alla Seconda Repubblica, quella dell’austerità, della sudditanza ai mercati internazionali e della perdita di sovranità nazionale. Craxi, con il suo potere, la sua autonomia e il suo carisma, rappresentava un ostacolo per chi, dentro e fuori l’Italia, desiderava un Paese più debole e manipolabile. Gli Stati Uniti non potevano tollerare un’Italia che osasse rivendicare sovranità e autonomia d’azione nello scenario globale. E così, la stagione delle monetine al Raphael fu il simbolo di una transizione violenta e pilotata, non solo da magistrati malati di protagonismo e giornalisti senza vergogna, ma anche da chi, dietro le quinte, aveva deciso che Craxi e il sistema dei partiti della Prima Repubblica dovevano essere spazzati via.
Il Lasciato di Craxi: Un Vuoto Che Fa Ancora Rumore
Oggi, a distanza di venticinque anni dalla sua scomparsa, il vuoto lasciato da Craxi necessita da parte nostra studio, comprensione, ricerca della verità. Nonostante le ombre del suo governo – gli scandali, la corruzione, il finanziamento illecito ai partiti – resta il fatto che Craxi fu un gigante rispetto ai nani politici che lo hanno seguito. Era un uomo capace che aveva una visione, che credeva nella politica come strumento di trasformazione e che non aveva paura di sfidare i potenti del mondo per difendere gli interessi del suo Paese. I nostri interessi. L’Italia di oggi, fragile e subordinata, ha perso quella capacità di alzare la testa. Craxi fu un uomo di Stato che seppe essere leader in un’epoca in cui la politica contava ancora qualcosa. E forse è proprio per questo che fu condannato a una morte in esilio, abbandonato da alleati (dentro e fuori il PSI: Amato e Ciampi) e tradito da un paese che aveva contribuito a rendere grande. Craxi non fu un santo, e nessuno dovrebbe provare a dipingerlo come tale. Ma il suo nome merita di essere ricordato per quello che ha rappresentato: una stagione in cui l’Italia, pur con i suoi limiti e le sue contraddizioni, osava dire “no” ai potenti e difendere il proprio diritto a decidere da sola il proprio destino. Se oggi ci lamentiamo di un’Italia ridotta a spettatrice del proprio declino, incapace di opporsi alle decisioni prese altrove, allora dobbiamo chiederci: chi ha guadagnato dalla caduta di Craxi? E soprattutto, chi ha perso?
LUCA COSTA
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